Il diario di un nobile forlivese, Raniero Paulucci di Calboli, pubblicato in Francia e in Italia in occasione delle celebrazioni del J’accuse di Emile Zola, ha rappresentato, dal punto di vista editoriale, per dirla con Le Monde, la vera novità del centenario. Di un personaggio rimasto in ombra per quasi cent’anni, e che rifugge dalle facili classificazioni e dai cliché storiografici e ideologici, parliamo con Giovanni Tassani, curatore del diario e responsabile, quale assessore alla cultura del Comune di Forlì, dell’importante Fondo Paulucci sull’Affaire, donato dai familiari alla Biblioteca comunale "Aurelio Saffi" di Forlì. Il diario di cui si parla nell’intervista è apparso in Italia, per le edizioni Clueb, a cura di Giovanni Tassani, con il titolo Con Zola, per Dreyfus. Diario di un diplomatico, e in Francia, per le edizioni Stock, con il titolo: Journal de l’anneé 1898. Au coeur de l’Affaire Dreyfus.

Intanto chi era Raniero Paulucci di Calboli?
Raniero Paulucci di Calboli nasce nel 1861, muore nel 1931; è un aristocratico, un marchese, di famiglia forlivese, forse la più antica di Forlì, citata da Dante nel XIV canto del Purgatorio. Orfano precoce di entrambi i genitori, viene educato dai padri barnabiti, secondo criteri di cattolicesimo liberale. E’ imparentato con Tommaso Gallarati Scotti, anch’egli futuro diplomatico, che nei diari chiama affettuosamente "Tommasino" perché più giovane (sarà un grande ambasciatore, studioso di Fogazzaro, un nome importante dell’aristocrazia lombarda), con i Trivulzio, con tutta la noblesse savoiarda da una parte, milanese dall’altra, addirittura con un ramo napoletano, gli Afan de Rivera, di tradizione borbonica. La madre poi è inglese, e per questo Paulucci trascorre sempre le sue vacanze estive in Inghilterra, assimilando un atteggiamento non ideologico, di tipo anglosassone, portato per l’arte, la sensibilità letteraria, ma anche per la ricerca e l’analisi sociale. Si forma all’università di Bologna dove si laurea, successivamente si appassiona alle scienze positive, alla ricerca sociale, avendo avuto come professore, tra gli altri, Enrico Ferri, il criminologo e sociologo, futuro deputato socialista. E’ anche un collezionista, figura tipica dell’Ottocento: proprio in quel secolo, infatti, nascono i grandi collezionisti, e lui lo è di un po’ di tutto, di arte, di libri, anche di begli oggetti, tutto sommato di gusti tradizionali, e però proprio questa sua passione lo porterà a collezionare anche tutto ciò che riguarda l’affaire Dreyfus.

Essendosi votato alla carriera diplomatica, raggiunge l’Inghilterra, dove, tra l’altro, sposa la nipote, quasi una figlia adottata, dell’ambasciatore italiano a Londra, il conte Giuseppe Tornielli, piemontese, strettamente legato a casa Savoia, uomo d’ordine, di vecchio stampo realista. Ed è appunto a Londra che Paulucci si interessa ai problemi sociali e alle inchieste tipiche di quel fine secolo.
Nel 1893 esce un suo libro, interessante, I girovaghi italiani in Inghilterra e i suonatori ambulanti, in cui descrive questo strano mondo di personaggi marginali con grande senso storico e dell’inchiesta sociale, derivatogli dalla cultura positivista di fine secolo; i suoi riferimenti a quell’epoca sono Enrico Ferri, Cesare Lombroso e la sua scuola di criminologia; infatti, in un primo tempo, egli tende a interpretare quello che indaga come devianza sociale e atavismo, nell’ambito di una visione strettamente positivistica; poi, invece, cala il pregiudizio, si rende conto che il nomadismo e l’accattonaggio sono comunque fenomeni da studiare socialmente, legati al mondo dell’emigrazione italiana, espressione, innanzitutto, di un disagio sociale da analizzare scientificamente.
Per cui fa uscire questo libro nel 1893 e ciò lo pone in contatto, tramite Guglielmo Ferrero, futuro studioso dell’antichità che diverrà molto importante, nonché genero di Cesare Lombroso, con Jean Finot, direttore della Revue des revues, una rivista che si pubblica a Parigi, che passerà da poche centinaia a ottomila copie, e che viene letta in tutto il mondo. Paulucci ne diventa collaboratore, e, una volta arrivato a Parigi, come secondo segretario dell’ambasciata italiana, al seguito del conte Tornielli (divenuto ambasciatore nella capitale francese) nel 1895, stringe amicizia con Finot e prosegue i suoi lavori di inchiesta sociale in particolare sugli immigrati italiani in Francia. Si accorge così che esiste, per esempio, una tratta di ragazzin ...[continua]

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