Camillo Barbisan, filosofo bioeticista, sacerdote della diocesi di Treviso, partecipa al Comitato di Bioetica delle Aziende Ulss 2, 9 e 10 della Regione Veneto.

La questione bioetica è ormai al centro del dibattito tra laici e cattolici, un dibattito che ultimamente si è fatto anche molto polemico. Lei partecipa al lavoro di diversi comitati ospedalieri di bioetica. Può inquadrarci il problema dal suo punto di vista?
Solo alcune considerazioni di carattere generale, indispensabili per contestualizzare i vari casi specifici. E’ ormai una consapevolezza comune pacificamente accettata che le possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnica abbiano raggiunto una vastità senza precedenti ed inoltre vengano prodotte con una velocità che talvolta crea disagio e sconcerto. Nell’ambito del sapere occidentale ci si è sempre posti questioni simili, non certo però con una rilevanza come quella attuale, perché oggi noi siamo in grado di intervenire dal punto di vista scientifico-tecnologico sul nascere, sul morire e su tutto quello che si distende all’interno di questi due estremi, ossia sul vivere.
Ora, noi non vogliamo limitare o censurare la scienza, né tantomeno la velocità con cui avanza; ci poniamo dei problemi per quanto riguarda l’applicazione di tali possibilità, al fine di orientarle in una direzione adeguata alle esigenze del cittadino e per garantirle a tutti impedendo che si costituiscano dei privilegi. Per fare questo credo sia necessario rimettere in dialogo saperi che si erano separati anche in maniera polemica e violenta: quelli umanistici, da una parte, e quelli tecnico-scientifici dall’altra. Questa è la stagione nella quale i saperi umanistici, penso in particolare alla filosofia, all’antropologia, alla morale, devono avere la capacità di intercettare la problematica di tipo tecnico-scientifico per riuscire a comprendere il carico di interrogativi che pone; dall’altro lato, però, scienza e tecnica non possono non misurarsi con le questioni di carattere etico-morale; non è più sufficiente, all’interno dell’ambito scientifico, affermare la bontà di una cosa semplicemente per il fatto che si è in grado di farla. Quindi la bioetica è uno spazio in cui proporre un rapporto nuovo tra saperi scientifici e umanistici. Tutto ciò senza confusione perché non si tratta certo di tornare a epoche premoderne.
Un approccio di questo tipo è molto pragmatico. C’è un di più teologico, un altolà a un certo punto inevitabile, che potrebbe provocare momenti di grave incomunicabilità?
Credo che noi dovremmo innanzitutto evitare una sorta di corto circuito che identifica il credere con una morale. Molto spesso poi questo corto circuito ha un ulteriore passaggio che identifica la morale con la dimensione della sessualità e infine la sessualità con l’elenco dei divieti e delle proibizioni di cui la Chiesa si fa guardiana e custode.
Sarebbe opportuno rimettere un po’ d’ordine nella questione, restituendo dignità alla dimensione fondamentale del credere che è prima di tutto adesione libera alla Parola che ci ha interpellato, da cui, solo come atto secondo, si deduce una morale. Direi che l’aspetto specifico del credere sta, per l’appunto, nel credere stesso. E’ questo l’affascinante della fede: la relazione con il Dio creduto, con un Dio che ha parlato nella recettività del credente, il quale ha inteso, e dopo aver inteso, trae delle conseguenze. Ora, è chiaro però che, a mano a mano che ci allontaniamo da questo parlare di Dio e tentiamo di derivarne delle conseguenze, noi entriamo nella dimensione della storicità dell’uomo, di una storicità che ha delle connotazioni spazio-temporali diverse e rispetto alle quali l’appello del Dio avrà delle traduzioni altrettanto diverse.
L’appello di Dio sollecita il credente del secondo secolo in un modo diverso dal credente del ventesimo secolo, eppure si tratta dello stesso appello. Io quindi devo costantemente fare i conti con la dimensione del mio tempo e del luogo in cui vivo. Questo non significa vanificare la dimensione pratica del credere, bensì esaltarne l’aspetto enormemente creativo e responsabilizzante per il credente.
Nella dimensione della morale noi giochiamo questo aspetto della libertà e della responsabilità, che sono primariamente individuali, personali.

Questo è un fatto fondamentale: sono io come soggetto a scegliere e decidere; di volta in volta devo prendere posizione tra due fuochi straordinari: da un lato, l’appello di Dio e dall’altro l’appel ...[continua]

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