Romano Madera, analista di scuola junghiana, insegna Antropologia Filosofica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Recentemente ha pubblicato L’alchimia ribelle, Palomar e L’animale visionario, Il Saggiatore 1999.

Le reazioni seguite all’incidente in cui i tre scout hanno perso la vita e alla morte del ragazzo della Folgore, possono essere anche un punto di partenza per una riflessione sul rischio. Cosa comporta una situazione in cui prevale la messa al bando del rischio, anche rispetto ai connessi valori del coraggio, della forza, e della virilità tradizionalmente intesa?
Comincerei dal tema rischio. A me pare che ci sia un movimento che tende a eliminare il rischio, e con rischio intendo l’aspetto soggettivo perché è chiaro che non si può eliminare il pericolo. A livello di definizione, infatti, il rischio è il tentativo di affrontare un pericolo nel quale, però, noi pensiamo di poter ottenere più probabilmente un vantaggio che non uno svantaggio. L’idea della nostra società, ovviamente, è quella di ottimizzare la situazione, però all’interno di un’illusione totale, che noi, cioè, possiamo rischiare senza rischiare. Questo atteggiamento generalizzato produce poi una specifica forma di educazione, fortemente contraria alla programmazione di come si affrontano i pericoli e li si trasforma in rischi. Questa mi pare la prima questione di fondo, alla cui base stanno tutta una serie di ragioni. Una delle prime ragioni, ovvie, a questa prevalente tendenza protettiva, è che, nei nostri paesi, se una coppia ha un figlio tutta la preoccupazione e tutto l’investimento per il futuro ricadono in toto addosso a questo. Se poi si aggiungono altri dati strutturali, innanzitutto l’età lavorativa sempre più spostata in là, emerge l’immagine di una società talmente "materna" da essere soffocante.
Ebbene, dal punto di vista sociale, ma anche da quello psicologico, individuale, questa tendenza comporta una reazione particolare, che non è più, almeno per i maschi, quella della "virilità" sulla quale si costruivano le virtù, le poche virtù, del patriarcato, ma si esprime in forma inconscia.
Questa reazione inconscia consiste in una crescente e fortissima attrazione, soprattutto da parte dei giovani, per attività rischiose, anzi pericolose, di ogni genere. Con questo non mi riferisco solo alle famose stragi del sabato sera, alla roulette russa con la macchina, ma anche alle nuove mode del parapendio, del canyoning e dei vari sport estremi, tutte attività, che suscitano un fascino immenso.
Ecco, mi sembra che tutto ciò sia legato al fatto che non ci sono più reali situazioni di rischio. Con questo non voglio dire che ci dovrebbero essere, per carità, niente passatismo. Voglio dire, però, che oggi il rapporto rischio-pericolo si presenta nella forma della scissione: nessun rischio e poi fascino del pericolo, il che, attenzione, comporta che non ci sia più un percorso educativo, che non è soltanto quello degli ultimi cent’anni, ma che ha una storia di millenni. Ricordavamo prima l’ultimo epifenomeno, l’iniziazione degli scout, che consiste nell’andare via per tre giorni da soli, provando a orientarsi, e che pare sia stata ora bandita da una circolare seguita a quel tragico incidente. Ecco, in fondo quella non era altro che la ripetizione di un modello classico: l’orientamento fuori dal villaggio, che è grosso modo il rito di passaggio attraverso il quale dalla pubertà si passa all’età adulta.
Ricordo una bella battuta da filmetto da serie B tra un indiano e un bianco, con il bianco che dice di non aver mai paura e il pellerossa che risponde: "Allora non sei coraggioso".
Ecco, mi sembra proprio questa la relazione: l’accettazione della paura, il fatto di affrontarla, e quindi il coraggio, ma sulla base di una sorta di "allenamento", di training.
Tutto ciò non esiste più, per cui si manifesta in una forma diversa, che assomiglia a una sorta di follia di massa. Credo che certamente tutto questo abbia a che fare con la virilità. Non c’è più quel poco di temperato che c’era in una tradizionale società patriarcale, anche in forme diverse, così i maschi sono diventati tutti "mammole", ma, nello stesso tempo, lo sono solo superficialmente; sotterraneamente sono molto affascinati dalla violenza, nelle forme più estreme e, tra l’altro, volontarie.
Questa è un’altra caratteristica interessante. Una volta, ad esempio nella Prima Guerra mondiale, oltre a essere tutti spaventati, e questo si ...[continua]

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