Nicola De Blasi insegna Storia della lingua italiana all’Università Federico II di Napoli. E’ autore, con Patricia Bianchi e Rita Librandi, di una Storia della lingua a Napoli e in Campania, edita da Pironti nel ’93, di un volume su L’italiano in Basilicata, edito da Il salice a Potenza nel 1994, e, insieme a Luigi Imperatore, de Il Napoletano parlato e scritto, edito da Fausto Fiorentino nel ’98. Tra l’altro ha poi scritto un capitolo su L’italiano a scuola per la Storia della lingua italiana edita da Einaudi, una breve storia della prosa italiana per la Letteratura italiana di Brioschi-Di Girolamo (Boringhieri editore), un profilo della letteratura dialettale post-unitaria per la Letteratura italiana della Salerno editrice. Ha collaborato anche ai due volumi dell’opera L’italiano nelle regioni (diretta da Francesco Bruni per la Utet) e alla Letteratura italiana della Einaudi.
Si è inoltre occupato della lingua scritta dai briganti in età post-unitaria, pubblicando l’autobiografia di un brigante lucano. Attualmente si occupa dell’opera e della lingua di Eduardo De Filippo.

La lingua italiana è un’astrazione rispetto ai dialetti, una sorta di lingua culta, per soli dotti, impostasi dall’alto sulle lingue popolari?
E’ vero che l’italiano è la lingua parlata da tutti gli italiani da poco tempo, affiancandosi ai dialetti che già esistevano, ma questa compresenza linguistica non risale ai decenni successivi alla unificazione. I dialetti sono sempre stati a stretto contatto con il toscano (e poi con l’italiano), almeno a partire dal Trecento in poi. Non dobbiamo pensare all’italiano come a una lingua imposta da una scelta politica, come alla lingua ufficiale del nuovo Regno d’Italia. Al contrario, si è avuta la sensazione di un’unità di popolo, e di lingua, molto prima che si realizzasse l’unità politica: si parlava di “Italia” e di “Italiani” già nel Medioevo. L’italiano ha circolato come lingua letteraria attraverso le opere di Dante, Petrarca e Boccaccio, grazie all’invenzione della stampa. I libri, stampati, a Venezia prima che altrove, circolavano poi in tutta la penisola. Certo, erano destinati alle persone colte, ma queste hanno sempre un peso nell’orientamento linguistico e culturale di un paese. Così, i letterati, a partire dalla metà del Cinquecento, hanno cominciato a scrivere tutti allo stesso modo. Tuttavia, non bisogna pensare che l’italiano si sia affermato solo come lingua letteraria. Il contatto tra l’italiano e i dialetti, cioè tra l’italiano delle persone colte e il popolo che in tutte le regioni d’Italia parlava il dialetto, si è realizzato in molti altri modi. In primo luogo, attraverso la letteratura popolare. Pensiamo ai tanti poemi narrativi in ottave, dei quali gli esempi più celebri sono l’Orlando furioso e le altre opere cavalleresche. Queste opere circolavano, fino a pochi decenni prima dell’unificazione, sotto forma di stampe popolari che venivano lette e soprattutto ascoltate nelle pubbliche vie. Per esempio, nel Regno di Napoli, ancora a fine Ottocento erano diffusi i cantastorie, i rinaldi, che recitavano per strada le storie di Rinaldo e dei paladini di Francia. Queste narrazioni erano fatte in italiano, con qualche commento dialettale da parte del narratore o da parte del pubblico.
Inoltre, il contatto fra l’italiano e i dialetti avveniva tramite le istituzioni. Le opere di Petrarca o di Boccaccio non arrivavano a tutti, però i tribunali o la Chiesa arrivavano dappertutto, anche nei paesi più sperduti, magari sotto forma di inchieste o di prediche. La predicazione itinerante, in particolare, fu un veicolo molto importante per l’italianizzazione della penisola, sin dai tempi di San Francesco. I predicatori, infatti, provenivano da principio in gran parte dall’Italia centrale, proponendo così un modo di parlare omogeneo. In questo modo, attraverso il contatto con le istituzioni e con la letteratura, i dialetti hanno sempre convissuto con l’italiano. Molte parole italiane, infatti, sono passate nei dialetti, assumendo magari significati particolari, a testimonianza di come il popolo le recepiva nel proprio dialetto.
Quali parole sono trasmigrate dall’italiano ai dialetti, cambiando significato?
Sono parole di origine colta che nell’uso popolare acquistano significati più concreti e materiali. Un’opera recente, Il dizionario etimologico dei dialetti italiani di Manlio Cortelazzo e Carla Marcato (edita dalla Utet) è molto interessante anche perché riunisce molti ...[continua]

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