Franco La Cecla insegna all’Ecole d’Hautes Etudes di Parigi. Recentemente è uscito per Theoria, Good morning Karaoke, un reportage dal Vietnam.

Tu hai lavorato a lungo sul tema della globalizzazione. Anche il tuo ultimo libro, sul Vietnam, di cui poi parleremo, in qualche modo gira attorno a questo tema. Vorremmo iniziare, però, da Seattle, sulle tue impressioni e valutazioni...
Intanto non si potrebbe comprendere ciò che è successo a Seattle senza tener presente l’estensione che, negli anni 80, i movimenti dei cittadini hanno raggiunto in California e in generale negli Stati Uniti. Questi movimenti sono collegati fra di loro in una rete orizzontale che funziona piuttosto bene. La California, poi, è una regione in cui i cittadini hanno abbastanza potere rispetto al governo. In tutta la fascia della West Coast, che va da San Francisco fino a Vancouver, la gente in questi vent’anni ha imparato a vivere con una qualità di vita superiore, a pretendere diritti, ha anche dato vita a un fortissimo movimento sull’Aids; lì è fortemente radicata l’idea, tipicamente americana, del potere delle communities, delle minoranze, delle comunità che sono raggruppate per interessi comuni e che hanno dei diritti. Jerry Brown, ad esempio, che fu governatore della California negli anni 80 e che adesso è il nuovo sindaco di Oakland, quindi primo sindaco bianco della città più nera d’America, quella delle Black Panters, è uno che organizza periodicamente delle assemblee coi cittadini per decidere dell’uso dello spazio pubblico e di quant’altro, con il fine di favorire il ritorno al senso comunitario dei quartieri.
Lo stesso grande boom dell’informatica, di Silicon Valley, è legato anche a questa idea dell’orizzontalità, della rete. E poi lì c’è tantissima gente che si è inventata un vero e proprio mestiere nel creare reti di cittadini. Mi viene in mente Michael Phillips, uno che negli anni 80 ha inventato una cosa che si chiama honest business. Lui era un commercialista che per un anno e mezzo ha lavorato gratis in uno dei porti di San Francisco, offrendo consulenza su come si fa a non fallire, su come si fa a fare del business, a tutti coloro che ne avevano bisogno: agli Hare Krishna, come al gruppo di donne che desideravano aprirsi un pub lesbico, o alle minoranze filippine che volevano aprirsi un ristorante filippino. Ebbene, dopo un anno è mezzo è diventato il consulente di tutti e adesso è uno dei miliardari della zona, nel senso che questo business è scoppiato. Oggi il ristorante più caro di San Francisco appartiene allo Zen Center ed è un luogo che offre prodotti di altissima qualità, dove va l’alta borghesia di San Francisco; hanno recuperato un enorme hangar in una vecchia zona militare sul mare e ci hanno fatto questo ristorante di lusso, coi proventi del quale, però, hanno aperto tre mense per i poveri in città.
Seattle ha trovato il suo humus in questa vasta rete di movimenti locali. E poi Seattle è stata preparata con molta cura; quelli che hanno preparato tutto il network via internet sono dei professionisti. Uno di questi è Jerry Mander, uno che vent’anni fa scrisse un libro, intitolato Quattro motivi per eliminare la televisione e che di mestiere organizza le reti dei movimenti di consumatori.
Quando si è organizzato il Wto si pensava ci fossero solo le multinazionali del grande mercato, in realtà ora hanno scoperto che non si può non fare i conti con i governi e, anche, con i movimenti. Si è scoperto che le Ong hanno molto peso; Amnesty International e Greenpeace hanno sempre più peso; si pensava che il commercio internazionale fosse tutto nelle mani di logiche che sfuggivano a queste cose, invece il commercio internazionale deve assolutamente venire a patti perché altrimenti perde il consenso.
Come interpreti la posizione della Francia?
Ci sono un sacco di malintesi su tutta questa vicenda di Seattle. La Francia al Wto è andata dicendo: noi vogliamo vendere a tutti il Camembert. E’ una posizione strana, che deriva dal fatto che in Francia è in corso una battaglia antiamericana in cui loro dicono: noi dobbiamo far valere l’eccezione culturale, che significa che non vogliamo essere mondializzati; ma è anche una posizione da tipica grandeur francese, perché sottintende: dovremmo essere noi francesi a "francesizzare" il mondo. Fra parentesi: Bové è andato lì a distribuire gratis il Camembert e nessuno lo voleva!
Quella francese resta tuttavia una posizione interessante, nel senso che in qualche mod ...[continua]

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