Aljosa Drazovic, 22 anni, studia Psicologia all’Università di Belgrado ed è membro di Otpor. Oggi collabora con l’Humanitarian Law Center per tenere i contatti con i militanti che vengono arrestati o che subiscono violenze da parte della polizia.

In questi ultimi mesi in Serbia si è imposto all’attenzione un nuovo movimento di opposizione, Otpor, che nato nelle università, ha presto raggiunto un’inattesa popolarità. Puoi raccontarci?
Otpor, che in serbo significa “resistenza”, è nato due anni fa come reazione a una legge mirata a sottrarre autonomia e libertà all’università. Il criterio sarebbe stato non più la conoscenza, la qualità, bensì la linea politica dei docenti.
Ebbene, gli studenti si sono ribellati a questa decisione e hanno protestato per diversi giorni, ma era l’estate del ’98, e di lì a poco i media, sia nazionali che internazionali, si sarebbero concentrati su un problema più grave, ossia la crisi del Kosovo. Slobodan Milosevic usa da sempre tattiche come questa: creare dei piccoli problemi e poi risolverli mentre tutta l’attenzione è concentrata su un problema più grave.
Così quella legge è passata e le nostre manifestazioni si sono spente dopo qualche settimana.
E’ stato allora che un gruppo di giovani ha dato vita a Otpor, come forma di “resistenza” al sistema. E’ cominciato come un piccolo movimento studentesco, ma nel tempo è cresciuto perché sempre più gente era delusa dell’opposizione, e di tutte le forme di protesta tentate in passato. Otpor non è un partito politico e non cerca di inculcarti delle opinioni: tu rimani libero di pensarla come credi. E tuttavia c’è un punto che ci tiene assieme: la volontà di cambiare. Noi tutti vogliamo che il nostro presidente e il suo governo se ne vadano. E poi vedremo di accordarci con chi seguirà.
Siete tutti molto giovani, alcuni addirittura minorenni. Come pensate di poter tener testa a un regime così potente e violento?
Il fatto di essere solo dei ragazzi ha anche dei lati positivi, perché la gente non può credere che vogliamo imbrogliarla. Sarebbe come se un poppante volesse prendersi gioco di un’intera nazione!
Appena l’intervento è finito, noi abbiamo rialzato la testa e la gente ha visto che forse si era aperta una strada verso il cambiamento. Purtroppo, appena le proteste sono cominciate, Slobodan Milosevic ha ordinato che fossero fermate con la forza, per cui ci sono stati degli scontri nelle strade e hanno cominciato ad arrestarci. Era l’autunno 1999 e questo ha comportato un rallentamento delle attività. Così abbiamo atteso l’arrivo della primavera, per verificare l’esistenza di nuove possibilità. Nel frattempo Otpor ha cessato di essere esclusivamente un movimento studentesco; è cresciuto ed è diventato un movimento popolare.
Gli adulti hanno infatti cominciato a capire di poter fare qualcosa per il proprio paese, ma non attraverso i partiti istituzionali, perché in un sistema come questo, se entri nella politica istituzionale, di fatto approvi questo sistema e le regole del gioco.
Otpor non ha mai avuto il permesso di diventare un partito politico. Noi abbiamo cercato di legalizzarlo almeno come organizzazione, ma c’è stato un secco rifiuto alla nostra richiesta di lavorare nella legalità. Non sappiamo perché. Si sono limitati ad accusarci di cose ridicole: di essere i mandanti dell’omicidio di un loro funzionario, Bosko Perosevic, cosa assolutamente falsa. E poi si sono messi a dire che noi non stiamo agendo per il bene del nostro paese, che siamo traditori, terroristi.
Noi comunque abbiamo proseguito e abbiamo organizzato le nostre attività come se fossimo un movimento legale, perché siamo consapevoli che le nostre azioni e ciò che crediamo è legittimo in tutto il resto del mondo. Non siamo violenti, e questo è un punto decisivo, perché se fossimo violenti allora l’accusa di terrorismo avrebbe un fondamento. E però vogliamo un cambiamento radicale. Questo è un compito molto difficile, perché dobbiamo sfidare il regime, la polizia, ma soprattutto la testa della gente che ancora non è pronta a vedere la verità. Perché qui il problema principale è il controllo dei media. Slobodan Milosevic ha la sua televisione di stato che da dieci anni va dicendo alla gente che tutto il mondo è contro di noi, che c’è l’America da una parte e la Russia dall’altra; che la Russia ci sostiene, mentre l’America ci odia. Ha riprodotto uno scenario da Guerra Fredda e molta gente crede che veramente ci sia ancora l’ostilità tra i du ...[continua]

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