Benny Morris è professore di Storia all’Università Ben-Gurion di Beersheba, in Israele. Recentemente ha pubblicato, per Rizzoli, Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001. L’intervista si è svolta nel mese di febbraio.

Facciamo una premessa sui tuoi libri. Ora è uscito anche in Italia il tuo ultimo libro, la storia del conflitto arabo-israeliano dalle origini, Vittime, che segue l’altro, sull’origine del problema dei profughi palestinesi, che tanta risonanza ha avuto nel mondo. Pensi che la nuova storiografia possa aver dato un contributo al processo di pace, che per altro, ora, sembra del tutto naufragato?
Il libro, solo marginalmente può avere un qualche effetto in questo senso. Si tratta di un processo storico-politico. Credo che il mio libro possa avere qualche effetto sugli israeliani per fare chiarezza riguardo alla nascita del problema dei profughi palestinesi; in qualche modo ha forse potuto influenzare la gente che ha portato avanti il processo di pace avviato con Oslo. Josi Bailen, in effetti, mi ha detto di averlo letto molto attentamente, pagina dopo pagina. Ecco, forse potrebbe avere qualche effetto in questo senso, tuttavia credo che questo sia soprattutto un processo storico che ha a che vedere con ciò che accade sul campo, con la demografia, con il potere militare, con l’ideologia e così via.
Certo, il libro può essere considerato come la fondazione di ciò che chiamo la “nuova storiografia” su Israele, della nuova storia di Israele. Credo sia stato il libro più importante in questo processo di maggiore apertura ed equilibrio nel giudizio su Israele. In passato la storiografia su Israele, i testi scritti negli ’50 e ’60 e ’70 erano estremamente politicamente mobilitati, al servizio dello Stato, dell’esercito. Negli anni ’80 nuovi storici cominciarono a scrivere una storia, per così dire più oggettiva. E credo che il mio libro sul problema dei profughi abbia rappresentato un buon esempio di questa nuova tendenza volta appunto a una storia più oggettiva.
Veniamo al processo di pace. Uno dei problemi più scottanti, ma anche più difficili, è il “tasso” di indipendenza di un possibile futuro stato palestinese. Sarà possibile per il mondo palestinese diventare indipendente sul piano economico?
Non credo. I palestinesi sono indietro economicamente. I territori palestinesi, come il West bank, non hanno risorse naturali; la popolazione palestinese poi non è scolarizzata, paragonata agli standard israeliani. Per cui presumo rimarranno dipendenti economicamente ancora per diversi anni dall’Occidente e anche da Israele, soprattutto per il mercato del lavoro, dato che i lavoratori palestinesi sempre più lavoreranno in Israele, così come hanno fatto in passato. Anche la loro esportazione, soprattutto agricola, andrà verso Israele.
Per cui è possibile controllarli anche economicamente, proprio per questa dipendenza…
Questo è uno dei problemi, loro ne sono consapevoli e si sentono umiliati da questa situazione. Ad ogni modo, il fatto è che quand’anche costituissero lo stato palestinese, rimarrebbero in gran parte dipendenti da Israele. Ma questa è la realtà, c’è poco da fare. Ovviamente loro non ne sono felici, preferirebbero essere veramente indipendenti, ma è impossibile. Del resto, lo stesso vale per Israele, che non è completamente indipendente: dipende dagli Usa, che ancora danno a Israele 3 miliardi di dollari all’anno, e anche se non è più decisivo come quando Israele era un paese povero, resta un aiuto rilevante. Insomma, nessuno è veramente indipendente. Il fatto è che la gente meno acculturata vede le cose in bianco e nero, sfortunatamente. Per cui i palestinesi, almeno la loro maggioranza, continuano a vedere la situazione così.
Sarà possibile arrivare a un accordo? I palestinesi hanno posto il problema del ritorno dei profughi. Cosa ne pensi?
Veramente non lo so. Pensavo fosse possibile, ora non lo so più. Non so se l’attuale leadership palestinese, e la popolazione stessa, siano oggi capaci di fare il compromesso che è necessario per la pace. Ecco, la possibilità di questo compromesso si infrange proprio sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Io posso capire la difficoltà per loro di rinunciare al sogno del ritorno dei profughi palestinesi, ma così non si arriverà alla pace.
E’ impossibile che possano tornare…
Dal punto di vista di Israele non è possibile, né pensabile, un ritorno in massa dei palestinesi, e per la verità neanche un ritorno in tono m ...[continua]

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