Gerusalemme, 11 febbraio, a casa di Shulim Vogelmann. Partecipano Avraham Laor, 23 anni, studente di Pensiero e filosofia ebraica; Rona Jona, 26 anni, studente di Storia e sociologia; Roy Sagir, 24 anni, studente di storia; Ron Sick Sick, 23 anni, studente di biologia; Yanai Spitzer, 23 anni, studente di Filosofia e economia.

Come pensate che vedano in Italia la vostra situazione? E che cosa possiamo sperare per la soluzione del conflitto palestinese-israeliano?
Yanai Spitzer. Penso che il punto di vista europeo sia un po’ monodimensionale, piatto; quando parlo con la gente so che l’unica cosa che sanno è quanto hanno visto alla tv la settimana precedente. Forse seguono la cronaca, ma non conoscono la storia. Ovviamente è facile identificare il debole, quando vedi un carro-armato contro uno che lancia le pietre è automatico: appoggerai il giovane con le pietre. Però è troppo facile dire: è bianco, è nero, ci sono i buoni ed i cattivi, senza indagare le cause in profondità.
Per quel che riguarda la seconda domanda credo che possiamo sperare che i palestinesi diventino più ragionevoli, più disponibili a dei compromessi…
Non sto dicendo che gli ebrei siano bravi ed i palestinesi cattivi; credo che non ci sia il giusto-sbagliato in questo conflitto. E tuttavia c’è un grosso problema, perché i palestinesi non si comportano nel modo che gli europei definirebbero razionale, per lo meno non nel breve periodo.
Per un giovane israeliano, e tradotto nel modo di pensare europeo, che poi forse corrisponde a come pensiamo anche noi, significa che uno dovrebbe agire in accordo al proprio vantaggio, trovare compromessi funzionanti, smettere di combattere quando non ne vale la pena. E fondamentalmente programmare le proprie azioni per migliorare la situazione…
Ron Sik Sik. Non credo che i problemi principali siano i confini, Gerusalemme, i profughi; dal punto di vista dei palestinesi il problema principale è lo Stato d’Israele. Ma far tornare tre-quattro milioni di profughi palestinesi nello stato d’Israele è qualcosa che non possiamo permettere, perché non ci sarebbe più lo Stato. Rispetto alla ragionevolezza, non credo che lo diventeranno, perché Arafat ha molto da perdere se si raggiunge un accordo. Ora si sente come fosse il re della Palestina, in capo al mondo, basta che dica “no, no” e ottiene sempre di più. Credo sia difficile per lui guardare oltre tutto questo. E poi non credo che la gente voglia la pace; credo che Israeliani e Palestinesi si odino troppo.
Non credo che ci sia tanta speranza per i prossimi 20, 30, 40, 50 anni, non durante la nostra vita. Non lo so. Noi non li vediamo come esseri umani, penso, e loro insegnano ai propri figli che questo paese è loro, e allora niente cambierà.
Rona Yona. Vorrei fare un esempio rispetto al sistema di lavaggio del cervello, all’educazione, che lavora su entrambi i lati. Anche se noi abbiamo l’impressione che tutto questo in Palestina assuma forme più estreme. Per esempio, non c’è alcuna consapevolezza del fatto che il Monte del Tempio sia sacro per gli ebrei. Non esiste nella loro teoria, non fa questione: è come se noi avessimo preso i loro luoghi sacri e tali luoghi non fossero sacri anche per noi. Non hanno la consapevolezza che si tratta di luoghi sacri anche per gli ebrei. Io non sono religiosa, e neanche così interessata a tutto questo, ma i discorsi dall’altra parte neanche cercano di essere equi; nemmeno si pongono delle domande. Io sono nata qui, non ho un posto dove tornare, non ho un altro luogo.
Vorrei poi dire qualcosa più in generale rispetto alla prima domanda: quale pensiamo sia la visione dell’Europa, dell’Italia, sul conflitto. La gente vede gli occupanti, che significa noi, gli israeliani, come gli “imputati”, come chi ha causato il conflitto, perché noi viviamo in un luogo che in quest’ottica non dovrebbe appartenerci. Questo crea una tendenza per cui Israele è visto come il cattivo. Ho la sensazione che negli anni recenti, l’atteggiamento sia diventato più filo-palestinese, perché è molto più facile simpatizzare per le vittime. Anche il modo in cui i media stanno portando avanti la cosa criticando Israele così frequentemente su questioni che in realtà sono molto complicate. Prendiamo il caso di Ghilo, poche persone hanno sparato a Ghilo. Non si tratta di una situazione simmetrica: i palestinesi hanno sempre tentato di trascinarci in un conflitto, di farci rispondere. Noi non abbiamo intenzioni aggressive, ma i palestinesi at ...[continua]

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