Jamal Zahalka, arabo israeliano, militante del Balad, coalizione araba che lotta affinché Israele diventi lo stato di tutti i suoi cittadini, anziché essere definito esclusivamente Stato ebraico, è uno dei co-fondatori del Centro Ahali. Vive e lavora a Nazareth.

Oltre a essere nella direzione di Balad, sei tra i fondatori di Ahali, Centro per lo sviluppo di comunità. Di cosa si tratta?
Ahali è nato con l’intento di organizzare la comunità palestinese in Israele; ci battiamo affinché vengano riconosciuti i loro diritti civili. Il nostro progetto prioritario oggi riguarda i lavoratori arabi; il principale obiettivo è organizzare questi lavoratori, che in quanto arabi sono esclusi da qualsiasi forma di tutela. Per esempio più del 70% della nostra terra coltivabile è stata confiscata dallo stato, ma anche la terra che ci è rimasta, che costituisce il 16% della terra coltivabile in Israele, beneficia solo del 2,5% delle risorse d’acqua disponibili. E poi c’è una costante discriminazione dei lavoratori arabi, a tutti i livelli, sul piano dello sviluppo, degli aiuti; è una situazione disastrosa, soprattutto per la carenza di un mercato di esportazione, in particolare per quel che riguarda la produzione di olio.
Volete creare, quindi, una specie di sindacato…
Esattamente. I lavoratori arabi non vengono rappresentati dai sindacati israeliani, che pure sono molto ben organizzati: in questo settore ci sono i kibbutzim e altri insediamenti, ciascuno con una propria organizzazione, che in genere gode di un forte potere lobbistico.
I lavoratori arabi, invece, non godono di alcuna rappresentanza.
Allo stato attuale abbiamo sostenuto la nascita di circa 70 comitati locali di lavoratori in città e villaggi. A marzo 2003 contiamo di dichiarare formalmente la nascita dell’organizzazione dei lavoratori arabi. Parlo specificamente dei palestinesi in Israele.
E per quanto riguarda i palestinesi dei Territori?
Nel West Bank i palestinesi vivono una situazione difficile, soprattutto sul piano della tutela del territorio: centinaia di migliaia di alberi, ulivi, mandorli, meli sono stati sradicati. La chiusura dei Territori poi sta avendo effetti disastrosi sul mercato, perché tutti quei contadini che producevano uova, ad esempio, non possono più venderle, e non resta loro che buttarle; lo stesso per le galline che, non potendo essere vendute, vengono lasciate a ingrassare e invecchiare; l’olio d’oliva pure non viene più smerciato, e così c’è già un eccesso di produzione.
Noi cerchiamo di aiutarli comprandone un po’ per poi rivenderlo in Europa. Parte di quest’olio viene venduto anche attraverso l’Italia, ma non in Italia: l’olio viene esportato a qualche azienda italiana che, dopo aver fatto i controlli necessari per certificarne la qualità e le caratteristiche, a sua volta lo esporta altrove, in particolare in Svizzera. E’ una situazione che sta precipitando. Oltre alla crisi dei lavoratori, resta poi il problema delle by-pass road, dell’assedio militare… Per questo stiamo cercando di fare dei progetti anche con loro, per aiutarli.
Qui in Israele, comunque il vostro status è diverso…
Noi siamo cittadini di questo stato. Israele fin dalla sua fondazione si è impegnato a offrire ai palestinesi che vivevano entro i suoi confini una cittadinanza piena, con un’adeguata rappresentanza a tutti i livelli delle istituzioni dello Stato. Insomma un’uguaglianza formale di diritti politici e civili. Questa promessa non è stata mantenuta. Oggi poi stiamo assistendo a una nuova ondata di razzismo e discriminazione a danno dei palestinesi con cittadinanza israeliana. Anche quei diritti che erano stati faticosamente conquistati in passato ora vengono messi a repentaglio. E’ in atto una regressione sul piano dei diritti di cittadinanza, favorita da un’atmosfera di nazionalismo crescente e di ostilità che dai palestinesi dei Territori sembra trasferirsi sui palestinesi in Israele. Lo stesso sistema di apartheid comincia ad essere applicato anche ai palestinesi israeliani. Parlo di azioni concrete, non solo di una vaga atmosfera.
Israele ha emesso più leggi discriminatorie a danno dei palestinesi israeliani negli ultimi mesi che negli ultimi vent’anni. Mi sembra che le leggi approvate siano almeno otto. Queste leggi hanno due cause: da un lato la nota fobia demografica di Israele; dall’altro, il tentativo di menomare, minimizzare, la rappresentanza politica dei palestinesi in Israele. I due aspetti sono in qualche modo legati ...[continua]

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