Yolande Mukagasana, ruandese, ha ricevuto il Premio Alexander Langer 1998 assieme a Jacqueline Mukansonera. Ha pubblicato La morte non mi ha voluta, ed. La Meridiana 1998, N’aie pas peur de savoir, 1999 e, recentemente, Les Blessures du silence, Actes sud 2002. Oggi vive in Belgio.

Sono passati nove anni dal genocidio. Cosa sta accadendo oggi in Rwanda?
Oggi la comunità internazionale tace sul genocidio in Rwanda. Anche i ruandesi tacciono, ma dietro il loro silenzio si nascondono delle profonde ferite. Dopo un genocidio non si ricomincia a vivere, si cerca di tirare avanti come si può, ognuno con il peso della propria storia. Si parla di genocidio dei tutsi e di massacro degli hutu moderati, perché, se è vero che il gruppo da colpire erano i tutsi, bisogna anche includere tutti coloro che non condividevano l’ideologia della soluzione finale, ordita dal regime totalitario di Habyarimana. Tutti questi morti, hutu e tutsi, sono il frutto di un’ideologia, un nazismo tropicale che, come l’altro, aveva enunciato e dettato le sue regole e la sua logica distruttiva.
Così in Rwanda non esistono oggi due campi diametralmente opposti, gli hutu genocidari ed i tutsi vittime. Nelle prigioni del Rwanda ho incontrato dei tutsi che riconoscono di aver partecipato al genocidio, e confessano di aver ucciso per far credere di essere hutu e, inversamente, ho incontrato un hutu, ex sindaco di Giti, che pur avendo ricevuto delle armi per uccidere, se ne è servito invece per proteggere la popolazione. Infatti il comune di Giti è l’unico in cui non è avvenuto il genocidio. Il sindaco Edouard Sebushumba è l’unica autorità ruandese ad aver protetto la propria popolazione. Negare questa evidenza, mascherare un crimine contro l’umanità in una guerra civile, tribale o interetnica, equivale a dimenticare che il genocidio è stato accuratamente e politicamente preparato per circa mezzo secolo. Significa inoltre esporre l’umanità al rischio di ripiombare nuovamente nell’orrore.
Occorre invece analizzare il meccanismo ed il funzionamento di questo genocidio. In Rwanda ci sono criminali che hanno ordito, pianificato e eseguito il genocidio. Bisogna giudicarli.
Anche i sopravvissuti hanno bisogno di verità, perché si sentono colpevoli di non essere riusciti a salvare gli altri. Finché non emergerà tutta la verità, questi infatti si sentiranno doppiamente vittime: da un lato vittime in quanto bersaglio premeditato del genocidio, dall’altro vittime di una logica riconciliatrice tendenzialmente assolutoria. I sopravvissuti al genocidio hanno bisogno di giustizia, affinché venga restituita loro la dignità di esseri umani.
Ma anche i carnefici hanno bisogno di giustizia, per ricostruire se stessi e poi partecipare alla ricostruzione della società ruandese. Per quanto riguarda gli innocenti, infine, ogni sospetto deve essere fugato. La giustizia è quindi l’unico mezzo per far rinascere la società ruandese. La giustizia è inoltre necessaria per la memoria, per non dimenticare. I processi servono anche a ricostruire la storia del genocidio.
Il genocidio del Rwanda è stato pensato e pianificato. Quando, a suo avviso, è stata messa a punto la soluzione finale?
Io credo che i preparativi siano stati predisposti all’inizio del 1993, in seguito all’offensiva del Fronte patriottico ruandese (Fpr), nel gennaio dello stesso anno. L’attacco delle truppe del Fpr, teso a rovesciare il regime totalitario di Habyarimana, è stato utilizzato, da parte di alcuni, come alibi e giustificazione al genocidio del 1994.
Secondo questa tesi, i tutsi addirittura sarebbero i responsabili del proprio genocidio. In realtà i preparativi veri e propri sono iniziati con la creazione, su impulso del presidente, delle giovani milizie nazionalistiche Interahamwe. Nel luglio dello stesso anno è nata la radio Rtlm (Radio des milles collines). Si diceva che fosse una radio libera, ma in realtà aveva come obiettivo di incitare la popolazione all’odio etnico, gli hutu contro i tutsi.
Tra un’emissione e l’altra trasmettevano anche ottima musica. Ricordo un cantautore che aveva composto delle “bellissime” canzoni anti-tutsi. Erano delle canzoni ben ritmate; anche i miei figli danzavano ascoltandole, nonostante incitassero allo sterminio dei tutsi.
In ogni caso sono convinta che sia solo dopo il cessate il fuoco tra le truppe governative e l’Fpr (che era in procinto di occupare la capitale Kigali), che in sordina siano iniziati i preparativi per il genocidio. ...[continua]

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