Sergio Segio, SocietàINformazione, collabora col Gruppo Abele; ha curato il Rapporto sui diritti globali nel 2003, ed. Ediesse. Vive e lavora a Milano.

Possiamo partire dall’intervista apparsa su Repubblica il 29 ottobre col titolo “Le Brigate rosse sono dentro il Movimento”, che tante reazioni ha suscitato…
Guardando al dibattito provocato dalla mia intervista, la prima impressione è che la gran parte degli intervenuti abbia guardato il dito, anziché la luna che avevo provato a indicare. Pur con importanti eccezioni (penso, ad esempio, a Fausto Bertinotti, a Marco Revelli o Luigi Manconi), ben pochi hanno cioè provato a confrontarsi con il merito delle cose che, problematicamente, avevo posto sul tavolo nella discussione.
Temo che, in effetti, molti di coloro che mi hanno criticato o, più spesso, violentemente attaccato, non siano andati più in là della lettura del titolo. O che, addirittura, siano intervenuti senza aver neppure visto l’intervista contestata. E’ l’impressione che inevitabilmente mi deriva dalla lettura degli interventi, ad esempio e per limitarmi solo ai più autorevoli, di Rossana Rossanda sul Manifesto, Repubblica e Carta o dell’editoriale di Piero Sansonetti sull’Unità, dove mi si fanno dire, addirittura virgolettandole, cose da me mai affermate. Il travisamento del pensiero e delle parole altrui magari viene fatto in buona fede, ma il risultato non cambia: il dibattito viene sviato dal suo merito specifico, rischiando peraltro di alimentare un linciaggio personale. Tali, in effetti, sono stati i toni utilizzati da molti, in ciò indirizzati dalle interviste del “disobbediente” Luca Casarini e da Piero Bernocchi, da molti lustri portavoce dei Cobas.
Anche questa variante fa parte della cultura della demonizzazione dell’avversario, propria delle culture politiche autoritarie.
E, tuttavia, proprio questi toni, la campagna di insulti e calunnie che quelle prime repliche hanno prodotto e innescato, mi paiono una conferma neppure tanto indiretta del tema che avevo cercato di proporre. Che era ed è certamente quello della presenza nel movimento di militanti delle Br e comunque di gruppi propugnanti la lotta armata e la violenza politica, e dei rischi a ciò connessi: ho detto e penso che le Br sono dentro e contro il movimento. Ma la riflessione da me sollecitata riguarda anche la legittimità che all’interno dell’attuale movimento (o, meglio, particolarmente della sua parte italiana, perché non va dimenticato che questo è il primo movimento globale) continuano ad avere culture politiche violente, logiche e pratiche di intolleranza.
In particolare citavi un episodio, la cui gravità ti ha molto colpito, e che consideri emblematico. Puoi raccontare?
A conforto di questa mia valutazione e lettura, nell’intervista citavo appunto un fatto che nel dibattito che è seguito è stato, forse non per caso, ignorato. Invece secondo me era centrale.
Certo, è un singolo avvenimento, o perlomeno è l’unico di cui sono stato testimone diretto, ma resta un dato significativo. Si tratta di un episodio avvenuto nel corso di una manifestazione del movimento, molto composita e partecipata, svoltasi nella primavera scorsa a Milano. Ebbene, a un certo punto, dalle file del corteo, una persona è uscita e ha scritto sul muro di piazza del Duomo: “Galesi spara ancora!”.
Sul punto, il commento di Bernocchi è stato quello di accusarmi di non essere intervenuto io per impedire quella scritta. Anche Casarini, col suo stile, ha minimizzato l’episodio dicendo che lui all’estensore della scritta avrebbe dato “due calci nel culo”.
Di nuovo, insomma, si è guardato il dito. Il problema che volevo porre io, citando l’episodio, è diverso e ben più radicale. Non è questione di fermare quella singola mano o impedire quella scritta: non ho mai pensato o proposto che il movimento debba farsi poliziotto e controllore di se stesso. Questa è una logica snaturante per il movimento e avvilente per la politica, che purtroppo non mi sorprende provenga da Bernocchi e Casarini, o per meglio dire dalle aree di movimento da loro in qualche modo rappresentate. Anzi, è ulteriore conferma di quanto dicevo prima. Voglio dirlo: quella è una logica miope e violenta, che pensa di risolvere una contraddizione politica con la repressione fisica. Il problema vero e ancora insoluto è invece di fare, nella sinistra e nei movimenti, una profonda e trasparente battaglia politica, di affermare e praticare una nuova cultura nonviole ...[continua]

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