Michel Wieviorka, sociologo, è direttore del Centro di Analisi e d’Intervento Sociologico (Cadis) dell’Ehess di Parigi. E’ fondatore e direttore della rivista Le Monde des Débats. Ha curato la raccolta di saggi Une socièté fragmentée? Le multiculturalisme en débat, ed. La Découverte, 1996. Recentemente ha pubblicato La differenza culturale. Una prospettiva sociologica, Laterza 2002.

Come si è arrivati alla legge sul velo?
Si possono identificare tre approcci alla questione. Il primo, che mi sembra provenire essenzialmente dal mondo della scuola, sostiene che il velo rappresenterebbe un pericolo per la società francese e afferma che in questo paese stiamo assistendo a una profonda messa in causa dei valori universali incarnati dalla repubblica, valori che sarebbero sbeffeggiati da minoranze attive che manipolano e dominano le ragazze, impedendo loro di essere soggetti con una propria identità personale.
Qui va premesso che gli insegnanti in Francia costituiscono una categoria in profonda difficoltà; l’insegnante oggi non è più il grande personaggio di 50 anni fa, si sente fragile e a disagio, in balia di situazioni che non controlla, di conseguenza non sa come reagire quando gli arriva in classe una ragazza con il velo. La crisi poi non riguarda solo gli insegnanti ma l’intero sistema educativo, un’enorme macchina molto difficile da gestire e impantanata nella sua complessità. Un ministro dell’istruzione ha detto addirittura che il sistema educativo francese è un mammuth, un animale preistorico che non avendo saputo adattarsi ai cambiamenti è scomparso…
Poi c’è una seconda posizione che afferma che il problema in realtà nasce da un clima islamofobo, denunciando così una forma di razzismo. Secondo questo approccio, la legge è frutto di un tentativo di squalificare e stigmatizzare l’islam, proprio in un momento già delicato.
In questa discussione, si è sentita infine una terza voce, anche se molto debole: attenzione, certamente esiste un problema di alienazione, forse pure di razzismo islamofobo, ma c’è anche il fatto che le ragazze mettendo il velo esprimono una libertà di coscienza e compiono una scelta di autoaffermazione attraverso una decisione personale che riguarda la loro soggettività; sono ragazze moderne, inserite nella società francese che compiono le loro scelte.
La commissione che si doveva occupare del problema ha fatto proprio il primo approccio. Perché?
Forse non è privo di interesse il racconto di come si è arrivati a questo. Da una parte ci sono stati alcuni presidi che sono andati in Commissione a raccontare le loro grandi difficoltà nella scuola; dall’altra hanno fatto grande impressione le testimonianze di ciò che succede, non già nella scuola pubblica (che di fatto costituiva il vero problema) ma negli ospedali pubblici. Mi riferisco alle donne musulmane immigrate che arrivano accompagnate da padri e mariti che chiedono esclusivamente medici donna e impediscono loro di sottoporsi a determinati esami o a visite mediche se il dottore è un uomo; pretesa che appare del tutto irragionevole in un sistema pubblico. A questo punto la Commissione non ha nemmeno voluto ascoltare le ragazze col velo, le ha ricevute solo alla fine dei lavori perché alcuni membri, fra cui Alain Touraine, hanno insistito.
Perché si è arrivati ad adottare questa posizione? Io credo che in una congiuntura segnata dall’ossessione per l’islam, e contemporaneamente dalla recrudescenza dell’antisemitismo (che molti associano comunque all’islam) e dalla presenza in Francia di numerosi immigrati, e in un clima in cui gli insegnanti spesso si sentono in crisi e a disagio, la commissione Stasi ha scelto, quasi all’unanimità, una legge che facesse ordine, proibendo ogni segno visibile, ostensibile, di appartenenza religiosa.
Tutto questo ha scatenato un grande dibattito…
Infatti le conseguenze politiche sono state molto interessanti perché inattese, nel senso che il lavoro della commissione Stasi ha provocato un intenso dibattito politico: finalmente parlamentari, ministri, l’opposizione, tutti hanno parlato dell’islam e questo è stato molto importante. Va però anche aggiunto che, in realtà, paradossalmente, non c’è stato un vero dibattito, perché su questa legge c’era un consenso pressoché totale, sia a destra che a sinistra. E’ il paradosso di un sistema politico che discute un problema importante nel segno del consenso.
C’è un altro elemento a mio avviso interessante: tutto questo ha contribuito a rila ...[continua]

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