Dalla segreteria telefonica una voce di bambino invita a lasciare un messaggio. In italiano e poi in tedesco, con accento sudtirolese. La casa di Fatima Azil si trova al Renon, luogo dei Sommerfrische, tradizionale villeggiatura dei commercianti dei Portici di Bolzano. 1100 metri di altitudine, boschi di abeti e pini e sottobosco di mirtilli ed erica. Di lì si vedono le cime più belle delle Dolomiti. Oltre alla strada i paesi sono collegati con la funivia. Fatima dice: mio figlio si diverte a registrare i messaggi nelle lingue che servono. Lei è marocchina, biologa, marito pachistano, e parla benissimo francese, arabo, italiano, tedesco, inglese e un po’ di pachistano. E’ presidente di Mosaik, una cooperativa di mediatori e mediatrici culturali. A Bolzano c’è il Lido, un’area di prati e alberi con piscine e giochi d’acqua. Molto amata dai bolzanini; dagli anni Trenta, quando fu costruita, oltre che un luogo per praticare il nuoto e i tuffi e per prendere la tintarella, è un luogo di socializzazione. Al Lido sono nate amicizie e amori per generazioni. Ci vanno tutti, giovani, vecchi, famiglie, bambini, militari di stanza in città.
In un giorno piuttosto caldo di fine agosto, due donne arabe velate dalla testa ai piedi si sono gettate in piscina, provocando la reazione gentile ma ferma dei bagnini, che applicavano la regola scritta che non solo nelle vasche ma neppure nel Lido si può entrare vestiti e con le scarpe. I giornali locali si sono buttati anche loro a pesce, e l’asciutto dibattito francese di inizio d’anno sul velo ha assunto aspetti umidi, e piuttosto emozionati. Schieramenti politici, ragioni igieniche, orgoglio religioso hanno giocato un ruolo esplicito. La sensazione di veder violato uno spazio famigliare, un ruolo implicito.

Come hai vissuto questo episodio della piscina?
Non avevo visto il giornale, essendo grande lavoratrice, mamma e moglie, le notizie talvolta mi sfuggono. Però quando ho saputo che due donne velate dalla testa ai piedi si erano gettate vestite nella vasca del Lido ho detto che avevano sbagliato. Io sono andata al Lido tante volte, come straniera osservo le cose e cerco di vivere nel modo più civile possibile, rispettando tutti.
Avevo notato che c’è scritto che è vietato l’ingresso nell’area delle piscine con le scarpe e i vestiti: si deve essere in costume e con le ciabatte. Noi non abbiamo la cultura della ciabatta in piscina, siamo abituati a un altro clima. Però io le ho comperate e me le metto e così mio marito e i figli. Anche se non condivido alcune cose, le rispetto.
Le regole si devono rispettare e magari cercare di cambiarle. Mi ha stupito che queste donne fossero lì. Dal punto di vista della cultura islamica, strettamente intesa, già il Lido non è un posto “corretto”, perché ci sono le donne in costume e anche gli uomini. L’Islam dice che le donne devono essere “protette” e che gli uomini devono avere qualcosa che li copra dall’ombelico fino a tutto il ginocchio: quindi se per loro queste norme valgono alla lettera, non dovrebbero neppure entrare in quel luogo. Però non ho mai visto un uomo coperto al mare in Marocco, né qui. Invece tutti guardano che cosa fanno le donne.
L’Islam non privilegia così tanto l’uomo sulla donna, però qui prevale la cultura tradizionale. Anzi l’Islam dice che il paradiso è sotto i piedi delle mamme, quindi dà un grande valore alle donne. Nella cultura islamica tutto dice che si deve essere corretti e rispettare le regole per andare in paradiso. Corano e Summa non fanno grande differenza fra uomo e donna. Non ci deve essere volgarità.
Il concetto di volgarità non si evolve? Una volta al Lido di Bolzano si andava solo con il costume intero, e poi è entrato il bikini, che si è ridotto sempre più...
Ci sono paesi islamici dove c’è la cultura del mare, come nel mio dove c’è la cultura del fare il bagno e prendere il sole, e si fa il camping. Fin da piccola io andavo al mare con mio papà, che è un arabo islamico, e mi ha sempre comperato i più bei costumi che c’erano in città. Voleva che mia sorella e io fossimo emancipate, donne in carriera. Diceva le femmes en carrière, parlava con noi solo in francese. Diceva sempre che il matrimonio è la fine di una donna, e che, laureandoci, avendo un lavoro importante, non saremmo state sottomesse. Io ho vissuto in questa famiglia. Certo, fuori sì, mi facevano capire che valevo di meno. Ma mio padre mi diceva: attenta, ti devi far valere. Qualche volta quando eravamo in una fila ...[continua]

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