Luca Mezzetti è professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna.

Dopo la Camera, il 23 marzo il Senato ha approvato in prima lettura una riforma della Costituzione italiana che modifica in profondità alcuni aspetti caratterizzanti dell’organizzazione dello Stato repubblicano. Siamo davanti a un pericolo di disfacimento del quadro nazionale?
Forse di disfacimento completo no. Certo l’attentato alla Costituzione è profondo ed evidente. Infatti, al contrario delle altre tappe di revisione costituzionale -ce ne sono state due importanti, nel 1999 e nel 2001, che toccarono solamente il Titolo V della Costituzione-, questa riforma del 2004-2005 andrebbe a modificare (dico andrebbe perché la partita è ancora tutta da giocare, evidentemente) un numero molto elevato di articoli della Costituzione, relativi non solo al Titolo V (Regioni e autonomie locali), ma anche alla forma di governo dello Stato centrale, vale a dire i rapporti Parlamento-Governo e i poteri del Primo Ministro. Proprio per quanto riguarda le novità introdotte a livello della forma di governo, la riforma attuale prospetta una soluzione che, nell’ambito del Diritto comparato, definire “originale” è forse un eufemismo. Appare del tutto anomala. E’ l’unica versione di premierato con elezione, di fatto, diretta del Primo Ministro. Si tratta di una soluzione che scardinerebbe dalle fondamenta l’equilibrio fra i poteri, spostando il baricentro della forma di governo pericolosamente verso l’Esecutivo, e soprattutto verso il Primo Ministro. E, ancora, snaturerebbe quella finora fondamentale funzione di equilibrio, di garanzia e di custode della Costituzione che è stata esercitata dal Presidente della Repubblica.
La devolution del centrodestra esalta, almeno apparentemente, il ruolo delle Regioni, estendendone a dismisura la capacità legiferatrice, ma sembra disinteressarsi dei Comuni...
In realtà, la questione è molto complessa. Comincerò con un’affermazione che può sembrare paradossale: la cosiddetta riforma federale dello Stato, secondo quanto risulta dal disegno di legge approvato dalle Camere in prima lettura, in realtà di federale ha ben poco. Uno dei motivi di stupore che questo progetto di revisione costituzionale mi ingenera deriva dal fatto che non riesco a capire come il partito della coalizione di governo che più ha spinto verso la riforma -diciamo la verità, quasi ricattando le altre forze della maggioranza e scambiando la sua permanenza al governo con la deliberazione delle modifiche della Costituzione-, cioè la Lega Nord, possa giudicarne il risultato soddisfacente.
Mi viene da pensare che i suoi esponenti non abbiano compreso appieno che il testo di riforma, oltre a non essere federale e a contenere degli strafalcioni, reca vari tratti di ricentralizzazione delle competenze. Mi spiego meglio: nelle due revisioni costituzionali del 1999 e del 2001, soprattutto nella seconda, dal punto di vista del meccanismo del riparto delle materie fra Stato e Regioni, si era adottato un modello simile al modello federale. Vediamone alcuni dettagli. L’articolo 117, nel testo vigente, al secondo comma, indica le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato centrale, cioè del Parlamento o del Governo in sede di delegazione legislativa; proseguendo, il terzo comma indica le materie di competenza concorrente Stato-Regioni, ovverosia materie sulle quali lo Stato produce leggi-quadro o leggi-cornice e le Regioni leggi attuative e integrative; infine, troviamo la clausola del quarto comma, che è clausola tipicamente federale, secondo la quale tutte le materie non rientranti nel secondo e nel terzo comma si intendono di competenza delle Regioni. Questo aspetto ha fatto parlare alcuni, me compreso, di un “quasi federalismo”, perché in effetti questo sistema di riparto delle competenze è molto simile alla Costituzione tedesca, che regge uno Stato sicuramente federale.
Ora, dalla riforma costituzionale attuale, che cosa emerge? Effettivamente materie come polizia locale, sanità e istruzione diverrebbero materie di potestà legislativa esclusiva delle Regioni. Ma se andiamo a leggere con attenzione le modifiche che parallelamente vengono proposte all’articolo 117, ci accorgiamo di alcuni aspetti contraddittori. E’ vero che l’assistenza sanitaria diverrebbe materia di potestà legislativa esclusiva delle Regioni, però nello stesso tempo la materia “tutela della salute” viene porta ...[continua]

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