Luciano Gallino è professore di Sociologia presso la facoltà di magistero dell’università di Torino. Il libro a cui si fa riferimento nell’intervista è L’impresa irresponsabile, Einaudi, 2005.

Per prima cosa, possiamo fare il quadro del disastro sociale, mondiale, potremmo dire, a cui ci sta portando quella che lei chiama l’“impresa irresponsabile”? I dati sono impressionanti e, di fronte a essi, vien da chiedersi che cosa si può fare.
Comincerei con un’immagine tragicamente efficace, quella che l’ultimo Rapporto sullo sviluppo umano ha definito come la “coppa di champagne”. La coppa di champagne è un grafico, rigorosamente costruito, che rappresenta le disuguaglianze di reddito nel mondo. In alto c’è il 5-10% di persone che si spartiscono più del 70% del reddito mondiale, mentre il sottilissimo gambo è composto da quei moltissimi (miliardi di persone) che si dividono il resto. Oggi la differenza tra il reddito pro capite dei paesi più sviluppati e quello dei paesi meno sviluppati è di parecchio superiore al rapporto di 400 a 1 in termini monetari, e di oltre 60 a 1 in termini ricalcolati in modo da tenere conto del diverso potere di acquisto. Questo accade a livello mondiale, ma situazioni simili sono riscontrabili all’interno di molti paesi: c’è la coppa di champagne a livello internazionale, ma ci sono anche coppe di champagne a livello nazionale. Ad esempio, una situazione di questo tipo si è delineata in modo drammatico negli Stati Uniti, come conseguenza del boom della net economy e della new economy degli anni ’90, ma anche per le incredibili riforme fiscali di Bush, che hanno favorito molto il 10-15% della popolazione, moltissimo il 5% di essa e in misura addirittura stratosferica l’1% dei cittadini americani. Credo che anche la distribuzione della ricchezza in Cina possa essere rappresentata con una coppa di champagne: anche lì, infatti, il 5-10% delle persone hanno vantaggi straordinari e la stragrande maggioranza della popolazione sorregge lo stelo e si divide quanto resta. Tornando al livello internazionale, voglio precisare che esiste il dramma degli strati più bassi, ma c’è anche il dramma degli strati intermedi, che, in una situazione simile, sono sempre più sotto pressione.
Mi sembra che queste considerazioni quantitative portino diritto al nocciolo della questione. Il nodo problematico è come un mondo così “abiettamente” disuguale (l’avverbio è della Banca Mondiale, tanto per dire) possa reggere, in presenza di sistemi comunicativi -nei quali comprendiamo anche l’immigrazione, le rimesse a casa e, naturalmente, i mezzi di telecomunicazione- che permettono, nel loro complesso, a tutti di sapere come vivono gli altri. Il problema è, dunque, come un mondo così strutturato possa reggere ancora a lungo. La coppa di champagne è fatta di cristallo e si può spezzare, anche con urti leggeri...
Il problema numero due è l’insicurezza socio-economica. Le modalità di organizzazione e di gestione delle grandi società sono ormai evidenti. Esse hanno sviluppato moltissimo la concezione finanziaria dell’impresa, che diventa anche un modello organizzativo. La finanziarizzazione delle grandi imprese industriali, che poi finiscono anche nella cronaca dei quotidiani per le difficoltà che stanno attraversando (General Motors e moltissime altre), crea, attraverso il complesso degli scambi e delle relazioni economiche, la cosiddetta catena globale di produzione del valore, formata da moltissimi anelli. È possibile osservare che ciascun anello è meno importante per quanto produce e molto più importante, invece, per quello che vale in quel momento come oggetto, come entità che si può cedere o scambiare sul mercato. Questo processo è assistito da complicate teorie economiche, teorie della contabilità, che hanno completamente trasformato il fare impresa, il concepire impresa, il contabilizzare attivi e passivi, e che hanno favorito moltissimo la costruzione di queste catene globali di creazione del valore, fatte in modo che ogni anello sia abbastanza piccolo e “individuale” da poter essere ceduto, scambiato, dismesso, chiuso, non appena ci si accorge, sulla base di qualche parametro, che la sua redditività è diminuita o non è vicina e paragonabile a quella di un concorrente. Più la catena è fatta di anelli singoli, isolabili, relativamente piccoli, più il calcolo della redditività del capitale lì investito è fattibile, con l’ausilio delle metriche contemporanee. Tutto ciò rende possibile una gran ...[continua]

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