Giovanni Jervis insegna all’Università La Sapienza di Roma dove è ordinario di Psicologia Dinamica nella Facoltà di Psicologia. Fra le sue pubblicazioni principali ricordiamo: Manuale critico di Psichiatria, Feltrinelli, 1975; Presenza e identità, Garzanti, 1984; La psicoanalisi come esercizio critico, Garzanti, 1989; Fondamenti di psicologia dinamica, Feltrinelli, 1993; Sopravvivere al Millennio, Garzanti, 1996; Prime lezioni di psicologia, Laterza 1999; e tra i più recenti Individualismo e cooperazione. Psicologia della politica, Laterza, 2002 e Contro il relativismo, Laterza, 2005.

In questi ultimi mesi abbiamo assistito alla ripresa del dibattito sul relativismo, con prese di posizione sia da parte del pontefice che di cariche istituzionali. La sinistra si è sentita attaccata… Lei contro il relativismo prende una posizione molto netta e sostiene che in Italia ha trovato un ambiente fertile alla sua diffusione. Ci può spiegare?
Sì, l’idea, tipicamente relativistica, che contino più le opinioni che i fatti, e che non esistano vere conoscenze ma solo tanti punti di vista, nel nostro Paese ha trovato un terreno fecondo. Questo, probabilmente, è avvenuto per vari motivi. Innanzitutto per il peso eccessivo, proporzionalmente, che ha sempre avuto, da noi, la cultura umanistica rispetto a quella scientifica. Anzi, potremmo dire che in Italia una cultura scientifica non si sia mai affermata. E la cultura umanistica, proprio per le sue caratteristiche, è un terreno di coltura più favorevole al relativismo rispetto a quella scientifica. Quest’ultima è una cultura della realtà, delle cose dure con cui fare i conti, dei numeri, delle statistiche, ma anche di idee e nozioni valide in generale: è una cultura universalistica, che si lega a un’idea dell’universalità dei diritti dell’uomo e della stessa ragione umana. Naturalmente questo non significa che la scienza sia depositaria del senso della realtà, o peggio ancora depositaria della verità; significa però che la ricerca scientifica parla a tutti gli uomini del mondo con lo stesso linguaggio e non è qualcosa di distante o arcano, invece è la ricerca paziente del realismo, è la ricerca di teorie e spiegazioni che siano le più esatte e pertinenti possibile e siano utili a tutti senza distinzioni. In breve, il referente della teoria scientifica è la realtà materiale; di quest’ultima si possono dare descrizioni e ricostruzioni più o meno esatte, ma non è certamente vero che tutte le opinioni si equivalgono. Alcune opinioni, viste in una logica scientifica e antirelativistica, vanno scartate, per lo più perché sono inattendibili, a volte solo perché sono sciocche. Non vi è insomma uno spazio vuoto, aperto a illimitate possibilità di punti di vista.
Invece, referente primario della cultura umanistica non è la realtà naturale ma è il pensiero stesso, è l’arte, la letteratura, le tradizioni delle idee nella loro infinita varietà. E magari lo è anche il sentire, il vissuto personale, la libera soggettività svincolata dalla materia. Benissimo, è il regno della libertà dello spirito: ma qui, purtroppo, quasi tutto sembra possibile. Qui si dà più importanza alle idee interessanti che alle idee verosimili. Conta il soggetto, non l’oggetto. Nella stessa linea la cultura umanistica può talora -non sempre, naturalmente- indulgere all’idealismo, e sostenere in via teoretica la priorità dell’Io sulle cose.
Un secondo elemento che entra in gioco è il peso che ha nel nostro Paese la cultura giornalistica rispetto alla cultura dei libri. E’ una mia impressione, probabilmente difficile da documentare: ma ritengo che in Italia i giornali, col loro linguaggio, siano prevalsi in qualche modo sulla cultura dei libri all’interno degli scambi e dei discorsi abituali di commento sulla realtà sociale. Forse è vero che la media cultura ha preso, in questo modo, un’impronta giornalistica.
Poi c’è il peso della cultura cattolica. Non di quella più dogmatica, reazionaria. Mi riferisco invece a quella progressista, incline anch’essa al relativismo, all’apertura possibilista, al dialogo verso le altre religioni, alla valutazione positiva di fedi e credenze diverse indipendentemente dagli effetti di comportamento a cui esse inducono i fedeli. Qui sembra che tutte le religioni siano altrettanto buone; tutte, si dice, cercano Dio. Tutte le fedi sono amiche. L’ importante, quindi, è non essere atei, non essere materialisti.
Naturalmente nella tradizione cattolica è ben presente anche l ...[continua]

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