Patrizia Dogliani insegna Storia contemporanea presso l’Università di Bologna, sede di Forlì. Ha pubblicato, fra l’altro, Un laboratorio di socialismo municipale. La Francia 1870-1920, (Angeli 1992) e il più recente volume curato con Oscar Gaspari L’Europa dei comuni. Origini e sviluppo del movimento comunale europeo dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra (Donzelli 2003).

Come sei arrivata a occuparti del socialismo municipale? E perché lo consideri una fase così feconda nella storia del movimento operaio?
Avevo già lavorato sulla storia del socialismo europeo tra fine ’800 e inizio ’900. Non su quello municipale, ma sulle grandi correnti e partiti della Seconda Internazionale (quindi dal 1889 alla prima guerra mondiale). Successivamente inizia una tesi di dottorato a Parigi, dove ebbi la fortuna di avere come direttrice di ricerca Madeleine Rebérioux, la grande storica di Jaurès e del socialismo francese, scomparsa proprio nel febbraio di quest’anno, che mi chiese di occuparmi del tema del socialismo municipale in Francia. Seguendo i miei interessi di storia comparata, ho poi allargato l’orizzonte della ricerca all’ambito europeo.
Attraverso il mio lavoro credo, intanto, di aver contribuito a sfatare, sul piano storico oltre che politico, un luogo comune secondo il quale il socialismo municipale sia stato, come si diceva al tempo, “il socialismo dell’acqua e del gas”, cioè dei servizi pubblici. È vero che sulla municipalizzazione dei servizi la sinistra europea insisteva fortemente all’inizio del secolo, ma è vero pure che il socialismo municipale esprimeva -in Francia come in Italia e altrove- molto altro, ad esempio una lotta contro il centralismo statale. Gli esponenti socialisti, infatti, si trovavano a gestire numerose amministrazioni locali e operavano spesso in contrasto con le direttive provenienti dal centro. È interessante notare come questi amministratori “rossi” agissero sovente in modo contraddittorio rispetto alle loro convinzioni politiche. Erano, infatti, perlopiù dei marxisti, convinti che per fare la rivoluzione bisognasse mirare alla conquista del potere centrale dello Stato, piuttosto che difendere le autonomie. Fatto sta, però, che nella quotidianità si trovavano a gestire comuni, rurali e industriali, piccoli e grandi, conquistati nelle battaglie elettorali amministrative. Nel 1881 i socialisti francesi, ancora divisi in varie formazioni politiche, conquistarono il loro primo comune (Commentry) e stilarono un primo programma elettorale per il quartiere parigino di Montmartre. Sempre in Francia, la nuova legge elettorale del 1884 permise ai socialisti di giungere, nelle elezioni comunali del 1892, a conquistare una settantina di amministrazioni locali, e in quelle del 1896 oltre un centinaio di comuni, comprendendo anche alcune città di media grandezza. In Italia, la nuova legge elettorale comunale e provinciale del 1888 riuscì a far conquistare, nel 1889, al Partito operaio il suo primo comune: Imola, feudo politico di Andrea Costa, che aveva traghettato alla fine degli anni ’70 parte del movimento proletario italiano dall’anarchismo al socialismo.
I comuni “rossi” erano visti, in proiezione futura, come “laboratori” del socialismo nazionale e internazionale, mentre nella quotidianità dispiegavano la loro azione politico-amministrativa entrando spesso in contrasto, anche su questioni minute, con il potere centrale. In Francia, prima di giungere a un confronto diretto con lo Stato accentratore, ancora fortemente di impronta napoleonica, della Terza Repubblica, i socialisti fecero il loro apprendistato nel governo locale, imparando, nella lunga transizione da movimento rivoluzionario a forza di governo, a controllare gli apparati amministrativi e a dominare l’economia. Anche coloro, all’interno della sinistra, che si dichiaravano strenui avversari del socialismo municipale, cioè quelli di più decisa ispirazione marxista (come Jules Guesde e il suo Partito operaio francese, Pof, nel Nord industriale del Paese), in realtà utilizzarono a fondo l’esperienza di gestione dei comuni delle aree operaie, non solo a fini propagandistici e “controsocietari”, ma anche per costruire una solida esperienza amministrativa, utile alla successiva entrata dell’intero partito nella sfera governativa.
Le amministrazioni socialiste, come ho detto, erano particolarmente attente ai servizi pubblici, che dovevano rispondere ai bisogni della popolazione più povera, dei ceti popolari. Q ...[continua]

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