Carla Oliva, ostetrica, lavora nel Consultorio Giovani di Genzano, nei Castelli Romani e svolge attività di volontariato presso il centro “Donne in difficoltà” di Valmontone.

Qual è la portata, oggi, del fenomeno della violenza contro le donne in famiglia?
Chi si occupa del settore sa perfettamente che le donne maltrattate nel 95% dei casi subiscono la violenza da una persona conosciuta, un familiare. Quasi sempre si tratta del marito o l’ex-marito, del partner o l’ex-partner. Qualche volta è il figlio a diventare violento, quando cresce, qualche volta invece il padre, oppure un vicino di casa, un parente, uno zio. Raramente è uno sconosciuto: le violenze occasionali, come uno stupro o cose di questo tipo, sono piuttosto rare anche se vengono raccontate sui giornali come fenomeni eclatanti. Il fenomeno della violenza riguarda essenzialmente le mura domestiche.
Con la parola “violenze” io intendo ogni genere di violenza. Innanzitutto la violenza fisica, le percosse, le botte; poi la violenza sessuale, lo stupro, l’obbligo di avere rapporti sessuali non consensuali; in terzo luogo la violenza psichica, una prevaricazione piuttosto sottile ma dolorosa. Un uomo infatti può obbligare la donna a vivere la sua vita come vuole lui, costringendola quindi a non-vivere: l’uomo violento arriva a impedire alla partner di uscire di casa, a privarla totalmente del denaro, anche nei rari casi in cui lei mantiene il lavoro (in genere infatti l’uomo chiede alla donna di lasciare il lavoro in modo da renderla definitivamente dipendente da lui: la mancanza di soldi crea un’immediata subordinazione).
Tutti questi tipi di maltrattamenti vanno per noi dentro lo stesso contenitore: si tratta sempre di violenza di genere, di tipo sociale e culturale. Vorrei subito precisare che non sto parlando degli uomini in generale, sto parlando degli uomini violenti: una categoria trasversale a qualunque classificazione su base sociale, culturale o professionale: ci sono persone laureate che sono violente, operai violenti, analfabeti o illustri professori. Tuttavia queste persone hanno molte caratteristiche in comune: quella di imporre la propria volontà anche con la forza, senza mai chiedere o cercare un dialogo con la compagna, quella di annullare il più possibile la personalità di lei e di considerarla una proprietà. Quando poi la donna non ne può più (magari hanno alzato le mani in maniera pesante) allora chiedono scusa e ritornano il giorno dopo con un mazzo di rose o una scatola di cioccolatini, è un classico. In realtà non cambiano mai.
E’ chiaro che anche i bambini rimangono vittime di questo clima aggressivo in famiglia. Non sempre l’uomo è violento contro i figli allo stesso modo in cui lo è con la loro madre, però raramente i genitori sono consapevoli che il solo vedere le violenze subite dalla donna espone i bambini ad un danno grave. Non è una cosa tanto risaputa, ma i figli che assistono a queste prevaricazioni rischiano, più degli altri, di diventare a loro volta violenti, se sono maschi, o vittime di violenza, se sono femmine. Questo avviene perché i bambini assimilano gli esempi di mamma e papà e tendono a perpetuarli, assumono il modello di relazione tra i genitori (che non è certo fondato sul rispetto e sull’amore reciproco) e lo fanno proprio: quindi una donna è una donna vittima, che subisce, arrendevole, mentre l’uomo è l’uomo forte, che decide da solo senza sentire nessuno e impone la sua volontà. Ognuno di noi impara da quello che vede e sperimenta, non ci inventiamo niente. Accade spesso, ad esempio, che il ragazzino che casomai nei primi tempi mette in atto comportamenti di difesa nei confronti della madre, crescendo cominci invece a imitare il padre, comportandosi un po’ allo stesso modo. Questa cosa non è automatica, è chiaro, però ci sono dei dati che avvalorano questa ipotesi. Nel 60-70% dei casi, infatti, gli uomini violenti da bambini hanno subito o assistito alla violenza; parallelamente, le donne vittime di violenza avevano in molti casi una madre a sua volta vittima di violenza, come se avessero assimilato la predisposizione, il ruolo di sottomesse. Quindi sia che i figli le subiscano direttamente, sia che ne siano solamente testimoni, il danno che ricevono è lo stesso. Anche l’omertà è un fattore che aggrava il problema nel suo complesso: le donne spesso nascondono le violenze che subiscono perché se ne vergognano, se ne sentono in qualche modo responsabili. Spesso lui dice a lei: “Mi hai l ...[continua]

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