Maria Castiglioni, psicologa, psicoterapeuta, lavora da anni nella realtà dei gruppi di mutuo aiuto. Co-fondatrice dell’Associazione ArcenCiel- Insieme per il Self Help di Milano si occupa, tra l’altro, di formazione e facilitazione di gruppi di mutuo aiuto sulle tematiche familiari e il disagio nelle relazioni affettive.

Sentiamo parlare, soprattutto in riferimento alle donne, di questo eccesso di “amore”, nei confronti del proprio fidanzato, o compagno, ma anche dei figli o dei genitori. Che cos’è la dipendenza affettiva? Come possiamo definirla?
Ci sono vari tipi di dipendenza: da alcol, cibo, farmaci, droghe, gioco, shopping ecc. Ma c’è anche il fenomeno della dipendenza da persone, che la psicologia definisce come “una modalità relazionale in cui un soggetto si rivolge continuamente agli altri per essere aiutato, guidato e sostenuto. L’individuo dipendente, avendo una scarsa fiducia in se stesso, fonda la propria autostima sulla rassicurazione, sull’approvazione altrui ed è incapace di prendere decisioni senza un incoraggiamento esterno” (Dizionario di Psicologia di U. Galimberti). Noi ci occupiamo in particolare di questo tipo di “dipendenza”. Tuttavia, quando abbiamo cominciato a pensare a gruppi di mutuo aiuto sulla dipendenza affettiva, non abbiamo considerato la donna “dipendente” come malata: la nostra ipotesi vedeva l’origine di questo tipo di disagio nella grande capacità di relazione femminile. Non lo abbiamo inquadrato, cioè, in una sintomatologia patologica, bensì in una cornice che definirei “ontologica”, cioè di struttura dell’essere umano donna, la cui connotazione fondamentale è il suo essere in e per la relazione. Anche Ratzinger nella sua “Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna” (agosto 2004), ha sostenuto la vocazione relazionale della donna nei termini di una sua “capacità dell’altro”. Questo “essere per” è una competenza esistenziale femminile, del suo specifico modo di essere nel mondo. E se questa passione per la relazione con le persone è lo specifico campo di espressione della donna, non è strano che patisca più dell’uomo, che invece è connotato, dal punto di vista culturale, da una passione per gli oggetti. E questo lo si vede fin da piccoli. Luce Irigaray, filosofa e psicoanalista francese, fondatrice del pensiero della differenza sessuale, racconta nel suo testo Parlare non è mai neutro, di una serie di esercitazioni linguistiche da lei effettuate con bambini delle scuole elementari e medie. Nella frase da completare: “Io gioco con...”, la bambina termina dicendo: “con Francesca”, mentre il bambino completa: “con la macchinina”.
Per tornare all’inizio del nostro discorso, noi non abbiamo definito la dipendenza affettiva come patologia, ma come conseguenza di una certa modalità femminile di stare al mondo che dà un’enorme importanza alle relazioni. Per cui abbiamo incominciato a parlare non tanto di dipendenza, quanto di disagio nelle relazioni affettive.
Perché abbandonare quell’espressione?
Per due motivi. Primo perché il concetto di dipendenza implica il suo contrario, l’autonomia e l’indipendenza, che a noi sembrano dei puri miti. Non esistono l’indipendenza e l’autonomia allo stato puro, cioè svincolate dai legami. I legami sono comunque fonte di dipendenza, tutti siamo inseriti in una trama di relazioni e di legami senza i quali non potremmo esistere. La dipendenza non è un concetto negativo in quanto non esiste una persona che possa dichiararsi indipendente dal contesto e dalle circostanze relazionali. E comunque la caratterizzazione di una persona totalmente autonoma, indipendente, che non ha bisogno di niente e di nessuno, non sarebbe certo quella in cui una donna potrebbe riconoscersi. Ricordo una vecchia pubblicità rivolta all’uomo che “non deve chiedere mai”…un mito appunto della cultura maschile. Il fatto di attribuire alla dipendenza un’accezione negativa ci sembrava molto riduttivo di una modalità esperienziale che invece caratterizza tutti, anche se in misura differente. Il punto di partenza è accettare che all’interno di una relazione si dipenda, altrimenti non ci sono le condizioni perché una relazione possa istituirsi.
Ma non ci piaceva molto neanche l’altro termine, l’aggettivo “affettiva”. La donna è sempre stata caratterizzata come colei che dà la maggior quota di energia nel mondo degli affetti; esiste ed è definita in virtù degli affetti che ha: “moglie di”, “figlia di”, “madre di”... Allora ci sembrava ch ...[continua]

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