una città 14 stra missione è anche di non dimenticare ciò che hanno passato i nostri vecchi, le loro battaglie, per trasmetterlo ai più giovani, nella speranza che un giorno l’occupazione si fermerà… Qual è il rapporto tra uomini e donne e tra generazioni nella comunità? Ci sosteniamo a vicenda, perché solo così riusciamo a resistere e a proteggere la nostra comunità. La comunità riconosce chi si impegna. Viviamo in una situazione e in una condizione molto difficile. Come donna, come attivista, mi sento rispettata. Puoi raccontarci della lezione che vi ha lasciato tua nonna? Come dicevo, lei era l’icona della resistenza nonviolenta ed è grazie a lei che ogni membro della mia famiglia è oggi un attivista nonviolento. Ha lottato fino alla fine e con il suo coraggio ha influenzato tutti coloro che l’hanno ascoltata, non solo la nostra famiglia. Pur essendo una donna molto anziana, non ha mai smesso di resistere ai coloni per proteggere la sua famiglia, la sua terra e i suoi animali. È sempre stata in prima linea. Quando era più giovane, nel corso delle manifestazioni, proteggeva in tutti i modi, anche con il suo corpo, i più deboli. Una volta che i figli e i nipoti sono cresciuti, non ha mai smesso di sostenerci, non solo me, i miei fratelli e cugini, ma anche gli altri giovani della comunità affinché continuassimo a lottare per i nostri diritti. Non si stancava di ripeterci che abbiamo il diritto di stare qui, che abbiamo il potere di resistere, di lottare per preservare la nostra terra. Nel corso dei vari attacchi dei coloni, è stata più volte ferita. Quando mio padre era ancora piccolo, ha perso un occhio proprio cercando di impedire che lo arrestassero. Alla sua morte aveva chiesto di essere sepolta nella sua terra, ma mio padre ha ricevuto un ordine di demolizione addirittura per la sua tomba. Riuscite a capire? Come a dire che noi palestinesi non abbiamo il diritto nemmeno di morire, in Palestina. Questo gesto assurdo ci ha fatto capire quanto lei fosse stata potente, anche se la sua è sempre stata una resistenza nonviolenta. Noi nipoti abbiamo quindi ricevuto questa grande responsabilità: è arrivato il nostro turno di portare avanti questa missione e di far conoscere la sua battaglia e i suoi principi, soprattutto ai più giovani che devono trovare la forza di non arrendersi e di andare avanti. Noi la ricorderemo sempre e spero sia orgogliosa di quello che stiamo facendo. Qual è il ruolo degli internazionali e degli israeliani che vengono a Masafer Yatta a manifestare assieme a voi? Il sostegno internazionale fa parte della nostra resistenza: quello che vedono e poi riportano le persone che vengono qui rappresenta uno strumento importante per far sapere quello che sta accadendo qui. Devo dire che se, prima della guerra, vigeva una sorta di protezione, di trattamento diverso riservato a loro, nel senso che era difficile che venissero attaccati mentre erano in giro con le loro telecamere -non si voleva che le aggressioni venissero riprese- ecco, dopo l’inizio della guerra, sembra che non ci sia più questa preoccupazione: gli internazionali vengono aggrediti come gli altri, anche se stanno facendo riprese. Questo per noi è un motivo in più per apprezzare ed essere grati verso queste persone che lasciano temporaneamente la loro casa e il loro paese per venire a vivere accanto a noi e alle nostre famiglie nelle tende e nelle grotte, per documentare la nostra vita quotidiana e la nostra lotta contro l’occupazione, attraverso video e registrazioni vocali. Vengono qui anche molti israeliani contrari all’occupazione, che vogliono aiutare il popolo palestinese che vive in queste zone sottoposte al totale controllo dell’autorità israeliana e alle aggressioni degli estremisti. Questi ebrei israeliani vengono aggrediti più ferocemente degli altri perché i coloni li odiano. Anche noi palestinesi siamo odiati, ma la cattiveria che esprimono i coloni nei confronti di questi israeliani è più forte: non sopportano che stiano dalla nostra parte. Gli amici israeliani cercano di spiegare loro che noi siamo dalla parte giusta e che non è giusto che questi villaggi siano sottoposti ad attacchi, le case bruciate, ecc. La loro posizione non è facile. Dall’esterno è difficile immaginare come sia possibile non perdere la speranza. Capisco quello che stai cercando di dirmi. Posso dirti che noi non ci arrenderemo mai perché questa è la nostra vita. Non si tratta di materie scolastiche o astratte: questa è la storia che stiamo vivendo; dobbiamo essere forti abbastanza per continuare a fare quello che facciamo. Circa un mese fa è stato emanato un ordine di evacuazione per un intero villaggio palestinese. Due settimane dopo hanno demolito tutte le case, che poi, come dicevo, più che di case, parliamo di grotte e spazi che la gente in qualche modo sistema perché non ha altro posto dove stare. Hanno distrutto tutto, portato via le cose delle persone e chiuso le grotte. Questa è una delle forme di pulizia etnica a cui stiamo assistendo in questo momento a Masafer Yatta. Siccome l’attenzione sta calando, approfittano dell’occasione per “ripulire” etnicamente questa area. Noi, i miei fratelli e i loro amici, siamo andati a sostenere queste famiglie che si sono trovate a trascorrere le giornate e la notte senza alcun riparo. Qui d’estate fa molto caldo, quindi è stato un momento molto difficile per i bambini e le donne che non volevano o non potevano lasciare il loro villaggio. Avevano montato delle tende per non rimanere esposti, ma hanno confiscato anche quelle. È un villaggio a circa mezz’ora, quaranta minuti di macchina da qui e la strada è molto accidentata e pericolosa. Mio fratello è stato arrestato due volte in questo villaggio e anche mio padre proprio due giorni fa è stato arrestato mentre portava aiuti umanitari e cibo a queste famiglie. I soldati non vogliono che si intervenga e così hanno confiscato l’auto di mio padre per un mese e gli hanno imposto di pagare una multa molto salata. Quando hanno rilasciato mio padre, lo hanno seguito, sono entrati in casa nostra intimandoci di uscire perché questa è un’area militare. Siccome sanno che questa è una casa di attivisti cercano sempre un appiglio per formulare un’accusa e procedere all’arresto. Noi abbiamo detto loro: “Stiamo solo aiutando delle persone, portando del cibo, dell’acqua e del latte per i loro bambini, perché ci state trattando come fossimo terroristi?”. Hanno risposto: “Sì, siete terroristi, vi abbiamo detto di non andare in questo villaggio e di non portare cibo o internazionali...”. Non c’è stato niente da fare. Hanno ribadito che avrebbero arrestato chi si fosse recato là, anche solo per portare aiuto umanitario. Questo è quello che stiamo vivendo oggi. La vostra rimane una comunità molto unita e solidale... Infatti, nonostante tutto quello che ho raccontato, sono profondamente felice e orgogliosa di far parte di questa comunità. Di essere accanto a persone che, con forza e coraggio, hanno resistito per tutti questi anni. Uomini e donne che si mobilitano, si aiutano, che non lasciano indietro nessuno. È anche grazie a questo mutuo sostegno che troviamo l’energia per andare avanti, giorno dopo giorno. Nella speranza che, aiutandoci a vicenda, riusciremo a realizzare qualcosa che oggi sembra impossibile. Inshallah, che il futuro, presto, ci possa sorprendere. (a cura di Barbara Bertoncin) questi ebrei israeliani che ci sostengono vengono aggrediti più ferocemente degli altri: i coloni li odiano è anche grazie a questo mutuo sostegno che troviamo l’energia per andare avanti, giorno dopo giorno israele-palestina
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==