Una città n. 312

una città 16 Alon Confino è stato titolare della cattedra Pen Tishkach di studi sull’Olocausto e professore di storia e studi ebraici all’Università del Massachusetts ad Amherst, dove era anche direttore dell’Istituto per gli studi sull’Olocausto, il genocidio e la memoria. Ha scritto molto sulla storia moderna della Germania, sulla nazionalità, sulla memoria, sulla Palestina e su Israele. È mancato il 27 giugno del 2024. La conferenza, di cui pubblichiamo alcuni estratti, si è tenuta nel febbraio del 2020 presso il Boston College, ed era intitolata “Tra Olocausto e Nakba: quando Genya e Henryk Kowalski sfidarono la storia, Jaffa 1949” (www.youtube.com/watch?v=W9vwheQFWk). Permettetemi di iniziare dicendo qualche parola su di me, sul mio lavoro di storico e sulle origini di questo progetto sull’Olocausto e la Nakba. Sono cresciuto a Gerusalemme negli anni Sessanta e Settanta. Mi sono laureato all’Università di Tel Aviv e poi sono andato all’Università di Berkeley per il dottorato. Ho scelto di studiare la storia della Germania. All’epoca non volevo occuparmi di Olocausto né di relazioni tedesco-ebraiche. Pensavo che l’Olocausto fosse un argomento troppo vasto, che richiedesse l’esperienza e la saggezza che viene con l’età, con l’esperienza. Volevo scrivere dei tedeschi. Se poi un giorno avessi avuto qualcosa da dire sull’Olocausto, l’avrei fatto. Il taglio che mi ha sempre interessato come storico è quello delle storie che le persone si raccontano su se stesse, sul loro passato collettivo, per dare un senso alla loro vita. Tutti noi ci raccontiamo storie su chi siamo. Senza una storia non possiamo vivere. Non abbiamo identità. La nostra storia non deve necessariamente essere esaustiva o cronologica, anzi, non lo è affatto. Le storie che ci raccontiamo come individui e come collettività sono piene di abbellimenti, rimozioni, negazioni, bugie. Mentiamo a noi stessi su chi siamo. Cambiamo la nostra storia man mano che andiamo avanti. Vedo qui alcuni giovani. Hanno vent’anni. Gli stessi fatti e gli stessi eventi della vostra vita saranno diversi quando avrete 30, 40, 50, 60 anni e così via, perché mettiamo la nostra storia in un contesto diverso. Cento anni fa la storia dell’America era completamente diversa per quanto riguarda la schiavitù, la guerra civile o il Jim Crow. Lo sappiamo. Ecco, mi sono sempre interessato alle storie che le società si raccontano per dare un senso alla loro vita. Questo mi ha portato a interessarmi alla memoria dell’Olocausto. Cioè la memoria storica dell’Olocausto dopo il 1945, che è stato un argomento molto importante nell’ultima generazione. Attraverso di esso mi sono interessato anche all’Olocausto stesso. A un certo punto ho deciso che avevo qualcosa da dire sull’Olocausto, per quanto possa valere, e l’ho fatto. Ho scritto due libri. Uno è Un mondo senza ebrei: è la storia che i tedeschi si raccontarono per giustificare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei. Perché? Perché nella vita si ha sempre bisogno di una “buona storia” per spiegare perché si fanno certe cose. E vi serve una storia molto buona se fate cose che in qualche modo sapete essere immorali. Pochi ammettono: lo facciamo perché siamo persone cattive. No, ci sono sempre delle ragioni. Dopo aver terminato quel progetto, ho deciso di passare a un altro argomento “semplice”: la guerra del 1948 in Palestina tra ebrei e palestinesi, ed è su questo che sto lavorando ora. Diversi anni fa, Bashir Bashir, un cittadino palestinese di Israele, un ricercatore, e Amos Goldberg, uno studioso dell’Olocausto, mi hanno contattato dicendomi che avrebbero realizzato un progetto sull’Olocausto e la Nakba. Un libro che nel frattempo è uscito (Olocausto e Nakba. Narrazioni tra storia e trauma, Zikkaron, 2023). Un progetto molto serio, non provocatorio, con un taglio umano ed erudito. Vi invito a leggerne almeno l’introduzione. Vi si trovano, tra l’altro, due punti principali. Perché dovremmo considerare insieme l’Olocausto e la Nakba? Bashir e Goldberg non li mettono a confronto. Sanno, come tutti coloro che si occupano seriamente di questo argomento, che l’Olocausto è un genocidio volto a uccidere tutti gli ebrei; la Nakba è l’espropriazione dei palestinesi nel 1948, una pulizia etnica. L’idea non era quella di uccidere i palestinesi, ma di allontanarli dalla terra. Non posso ora addentrarmi nella guerra del 1948 tra ebrei e palestinesi, ma l’esito fu che 750.000 palestinesi persero le loro case, le loro proprietà, che vennero acquisite da Israele. Quindi per i palestinesi quello è l’anno della catastrofe, o Nakba, in arabo; per gli ebrei, è l’anno della liberazione, è la fondazione dello Stato di Israele. Bashir e Goldberg fanno due considerazioni. Una riguarda il ricordo. Questi due eventi rappresentano l’avvenimento -traumatico- fondativo nella narrazione nazionale di ciascun gruppo. Hanno perso le loro case, la proprietà, la patria. I due studiosi guardano a questo aspetto dal punto di vista degli studi sulla memoria. La seconda considerazione è che negli anni Quaranta, le nazioni, dal Baltico al Nord fino al Mediterraneo orientale, erano coinvolte nella creazione di Stati nazionali omogenei che comportavano l’epurazione delle minoranze. Pensiamo alla Polonia, alla Russia, alla Cecoslovacchia, alla Romania e anche alla Palestina. I gruppi etnici hanno eliminato altri gruppi etnici per creare Stati nazionali omogenei, il che significa che, se vogliamo capire cosa è successo in Palestina nel 1948, dobbiamo ricordare che questo non è un caso unico. Fa parte di una storia più ampia che dovremmo comprendere. Quando Bashir e Goldberg sono venuti da me, ho pensato che non volevo contribuire con un saggio sull’opportunità o meno di fare paragoni. Essendo interessato alla vita e alle esperienze dei singoli, volevo invece trovare un esempio di persone che avevano vissuto negli anni Quaranta, che in qualche modo collegasse i due eventi. Questo era il mio obiettivo principale in questo progetto. Ed è questo che vi racconterò oggi. Vi racconterò la storia di due persone che hanno collegato i due eventi nella loro esperienza. Lascerò parlare le mie fonti. Questo è ciò che faccio come storico culturale. Mi interessa l’esperienza soggettiva delle persone nel passato. Per me non c’è dubbio che l’Olocausto e la Nakba siano collegati, perché lo sono nei racconti che ho raccolto. Questa è un’introduzione un po’ lunga, ma era fondamentale per mettere le cose in chiaro. So che è un argomento controverso. È controverso per gli ebrei. Molti ebrei considerano l’Olocausto unico e accostarlo a qualsiasi altro evento suona blasfemo. È controverso per i palestinesi, che vogliono che la loro tragedia sia riconosciuta come tale senza collegarla a quanto subìto dagli ebrei. Nel 1949, Genya e Henryk Kowalski, sopravvissuti all’Olocausto, rifiutarono di ricevere una casa abbandonata a Jaffa. Cosa sarebbe successo se la parte vittoriosa avesse rispettato la proprietà e i diritti dei palestinesi? Se avesse esercitato una politica basata sul principio biblico “ciò che è odioso per te non farlo agli altri”? Perché la storia controfattuale può essere un buon modo di pensare al passato. Una relazione del 2020 dello storico Alon Confino. Genya e Henryk si incontrarono a Norrköping, si sposarono e immigrarono in Israele nel gennaio del 1949 ci ricordava come avevamo dovuto lasciare la nostra casa quando erano arrivati i tedeschi israele-palestina

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