una città 26 cosa sta succedendo solo in Italia, lo inquadrava come il “comico diventato presidente”. Zelensky in realtà è stato il compimento di un processo che era in corso da tre decenni, quello appunto della costruzione di una nazione, che ovviamente era stato un lavoro corale. La verità è che gli europei, nella loro ignoranza, nemmeno sapevano dove fosse l’Ucraina, e certo non sapevano che stava nascendo un paese vero, che aveva lavorato sulla riappropriazione della propria storia, della lingua, della cultura (anche in maniera discutibile, certe volte), con il risultato di far crescere una generazione di persone che si sentivano ucraine e non più post-sovietiche. Prima di allora, l’ultima volta che ero stata in Ucraina era nel 2010, per la campagna presidenziale Yanukovych-Timoshenko. Mi ero presentata con la classica logica binaria che si utilizza ancora, “filorussi-antirussi”. Loro mi guardavano sconvolti... non era quello il punto. Ovviamente c’erano quelli che spingevano per un’integrazione europea e chi diceva che bisognava continuare a commerciare con la Russia. All’epoca c’era anche uno spazio culturale molto più condiviso, gli artisti ucraini andavano a esibirsi al Cremlino e viceversa. Non c’era ancora questa contrapposizione ideologica. Insomma, nel 2010 ho capito molto in fretta che in Occidente stavamo applicando logiche completamente sbagliate. Da qualche tempo, con degli amici e colleghi ucraini, a Milano facciamo un festival che si chiama “Ucraina è Ucraina”. Abbiamo preso spunto dal famoso spot del “Corriere della Sera” per la sua “Enciclopedia degli anni Novanta”, in cui si vede un cosmonauta che atterra con la sua capsula in un campo e dice “madre Russia”, a quel punto gli si avvicina una contadina e gli dice: “Ma no, questa è Ucraina”. E lui: “Ma la Russia non è Ucraina?”, al che la contadina risponde “Ucraina è Ucraina!” (https://www.youtube.com/watch?v=7XtqfyJi7uE). Ecco, il punto è che l’Ucraina è Ucraina, non è una Russia o un’ex Russia. La Russia non ha minimamente percepito il fatto che era nato un paese che aveva recuperato parte delle sue identità (non solo russe o sovietiche), che si sentiva ed era molto più in Europa e che aveva compiuto quel passaggio generazionale che la Russia non ha mai voluto fare. Oggi è lampante: basta guardare un telegiornale per confrontare la classe dirigente di Zelensky con Putin e quelli che lo circondano: ci sono quarant’anni di differenza! L’Ucraina è un paese che non si è immerso nella nostalgia. D’altra parte, di cosa doveva avere nostalgia? Dell’impero russo? Piuttosto, per l’Ucraina è l’Europa ad aver rappresentato una grandissima àncora. Nel momento in cui si sono lasciati alle spalle il passato, avevano un futuro al quale guardare e dire: “Vogliamo essere quella cosa lì”. La Russia non l’ha fatto, sia perché l’Europa non ha mai manifestato alcuna disponibilità, perché aveva ancora abbastanza paura, sia perché comunque l’idea di diventare Europa è il dilemma della storia russa dal Settecento in poi. L’Ucraina ha fatto ciò che anche la Russia avrebbe potuto fare. È la differenza, passatemi il paragone, tra l’India e la Gran Bretagna. Per la Russia c’era un passaggio in più da fare, però avrebbe potuto fare come la Gran Bretagna: salvare del proprio passato imperiale la parte bella, la cultura, il melting pot, la letteratura, le arti, e ripudiare il colonialismo, lo sfruttamento, il razzismo, eccetera. Ma non l’ha fatto. La scelta tra futuro e passato è diventata molto evidente nel 2014, quando l’Ucraina è scesa in piazza per chiedere l’Europa. La Russia poi l’ha invasa al grido di “Siamo stati fratelli per mille anni”. Cosa, oltretutto, non vera. Pare che l’emigrazione abbia giovato un ruolo cruciale. Le mamme dei giovani del 2014 avevano lavorato in Europa, mentre magari i loro papà andavano in Russia... Questa è un’idea che ho tratto da un articolo di Daniele Raineri pubblicato su “Il Foglio” all’epoca dell’Euromaidan. Siccome in Italia si diceva che quel movimento era pieno di nazisti, Ranieri era andato lì a chiedere ai ragazzi cosa sapevano dell’Europa e del suo passato. Questi gli hanno risposto: “Abbiamo ascoltato i nostri padri, abbiamo ascoltato le nostre madri e ci è piaciuta molto di più la storia delle nostre madri”. Ma lì c’era già tutta una generazione di ucraini cresciuti o comunque con un un pezzo di infanzia vissuta in Europa. Penso a Chef Klopotenko, il più famoso chef ucraino, uno che ha cucinato per tutti i potenti, da Macron a Draghi… Quando l’ho intervistato e gli ho chiesto quale fosse un piatto speciale che aveva mangiato da piccolo, mi ha risposto: “I tortellini in brodo!”. Era venuto in Emilia-Romagna a sette anni -i famosi “bambini di Cernobyl”, cosa che lui non era, ma all’epoca tutti i bambini ucraini passavano per “bambini di Cernobyl”- e li aveva scoperti lì. In Ucraina c’è un piatto simile, i vareniki, che però non sono mai in brodo: insomma, per lui l’idea di mettere nel brodo una pasta ripiena e che poi ci si grattasse sopra il formaggio era fuori dalla grazia di dio. Era la sua madeleine. Abbiamo molto sottovalutato le vicende dei tanti ragazzini ucraini che hanno avuto un contatto ravvicinato con l’Europa, in particolare con l’Italia, dove poi venivano a lavorare le madri. L’esperienza dell’emigrazione o comunque del viaggio avanti e indietro per lavorare o studiare in Europa era diventata per i giovani ucraini una cosa normale; per i russi, invece, è rimasto un qualcosa di riservato all’élite. I russi, infatti, giudicano l’Europa dagli alberghi che hanno visitato, non dalla quotidianità. C’è stata pochissima emigrazione russa “non oligarchica”. Da noi invece è cresciuta una generazione di ucraine, alcune hanno già la pensione! Qui hanno amici, dottori, hanno mandato i figli a scuola, hanno le case popolari... Per loro l’Europa non era un concetto, un’ideologia, ma una cosa molto viva, pratica. In conclusione scrivi che solo con una sconfitta inguerrapotràportaregiustizia agli ucraini e, forse, libertà alla Russia. Premetto che penso che i russi abbiano perso un’occasione straordinaria: loro hanno avuto Gorbachev, uno di quei miracoli che ogni tanto capitano. Gorbachev ha fatto il prodigio incredibile di prendere un paese del quale tutto il mondo aveva paura, una dittatura totalitaria dove si diceva che si mangiassero i bambini, con diecimila testate atomiche, e farlo diventare simpatico. Era riuscito a distruggere il comunismo sovietico presentando i sovietici come i vincitori; aveva perso la Guerra fredda, ma siccome era stato lui a rinunciarvi, il paese aveva guadagnato molto credito. A cominciare da un posto al G8 per cui in realtà non aveva assolutamente i requisiti economici. Ecco, i russi hanno completamente sprecato quest’occasione. Ora in tanti, da Putin in giù, dicono che con la Perestrojka “abbiamo perso l’Europa dell’est”. Ma no, non l’avete persa, semmai l’avete liberata! È da qui che nasce tutto il risentimento post-sovietico. La percezione russa è: “Noi non abbiamo perso la Guerra fredda e voi ci trattate come degli sconfitti”. Anche la vittoria sul nazismo viene trasformata in una vittoria sull’Occidente e sull’Europa, il punto più alto e glorioso della storia russa. Fin lì possiamo essere d’accordo, però se diventa “la cosa più bella che abbiamo fatto, possiamo rifarlo perché è stato bellissimo”... Cioè, non è stata una tragedia, è stata la volta in cui abbiamo scorrazzato per l’Europa e “gliel’abbiamo fatta vedere”. Insomma, temo che finché i sostenitori della Russia di Putin non assaporeranno la sconfitta, non riusciranno a cambiare. Per questo i russi che si sono schierati con la resistenza ucraina sognano l’arrivo di un carro armato ucraino nella Piazza Rossa. (a cura di Barbara Bertoncin e Bettina Foa) i russi che si sono schierati con la resistenza ucraina sognano l’arrivo di un carro armato ucraino nella Piazza Rossa
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