una città 28 Andrea Oskari Rossini è giornalista della Rai Tgr Veneto e collabora con il programma televisivo “EstOvest”. È stato corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso da Sarajevo, realizzando molti reportage e documentari. È vincitore del Premio Luchetta tv nel 2018 per il servizio “Orfani di pace”, e del Premio Enzo Baldoni 2009 per il reportage “Morte di uno sminatore”. Con lui abbiamo ricordato Luca Rastello, scrittore e giornalista torinese, a dieci anni dalla scomparsa, avvenuta il 6 luglio 2015. Volevo partire dalla ex Jugoslavia. Rileggendo La guerra in casa del 1998, colpiscono le tante storie positive e negative di questo ritratto molto ampio che Rastello fa sui due lati dell’Adriatico. Partirei da una citazione: “L’ideologia umanitaria ha fornito spesso un avallo alla confusione fra carnefici e vittime. Senza togliere valore al coraggio di tanti e alle migliaia di vite salvate dalle carovane bianche, sarebbe forse onesto e utile aprire una futura analisi dell’intervento umanitario in Jugoslavia con la categoria del fallimento”. E ancora, poco dopo: “L’azione umanitaria acquista, credo, tanto più valore quanto più si sgancia dall’ideologia umanitaria, da quell’immaginario nutrito di carità e supplenza che non riconosce la dignità e la responsabilità delle vittime”. Che cosa c’è dietro questa pagina molto densa e quel libro? La prima cosa che vorrei dire parlando di Luca Rastello è che ho attraversato molti dei luoghi che lui ha attraversato, ci siamo incrociati, abbiamo passato tanto tempo insieme in tanti viaggi, però non posso dire di essere uno che lo conoscesse bene. L’ho incontrato la prima volta in Bosnia Erzegovina, in un villaggio dove erano arrivate migliaia di donne provenienti da Srebrenica e che erano sopravvissute al genocidio. Erano state mandate lì dopo il settembre del 1995, in un villaggio nella Bosnia centrale che si chiama Vozuca, che prima della guerra era abitato sia da serbi che da musulmani. Nel settembre del 1995 l’esercito bosniaco aveva vinto su quel fronte, i serbi erano stati allontanati, erano fuggiti, e le donne sopravvissute al genocidio che erano a Tuzla e in altre città avevano potuto andare a Vozuca dove sono restate per anni, nelle case dei serbi. Quando l’ho conosciuto, vivevo lì da un po’ di tempo, in un paese vicino, a Zavidovici. Mi aveva colpito la conoscenza profonda che aveva Luca di tutta la vicenda, i dettagli della guerra bosniaca e lui -per rispondere alla tua domanda- aveva chiara una cosa che non tutti avevano chiara in quegli anni, cioè che non ci sono situazioni di bianco e nero all’interno di una guerra, non ci sono popoli colpevoli e popoli vittime, ci sono persone con nome e cognome che sono criminali di guerra e poi ci sono centinaia di migliaia di vittime, che erano quelle che lo interessavano di più sia da un punto di vista umano che giornalistico e del reportage. Lui portava questo tipo di approfondimento, questo scavo, e lo rivolgeva anche a quelli che facevano aiuto umanitario: non li rappresentava come buoni, cercava di capire anche gli errori, i limiti del movimento di solidarietà -penso la frase fosse riferita a questo. Un’altra parte importante nel libro è quella dedicata al Comitato di accoglienza profughi ex Jugoslavia di Torino. Leggiamo, fra l’altro, nella nota editoriale di un altro volume, che Rastello ha salvato centinaia di persone aiutandole a fuggire e a ricollocarsi in Italia. La guerra in casa si chiama così anche perché racconta di una solidarietà fatta in prima persona dai tanti che accolsero queste persone anche nelle loro case. Che cosa ci puoi dire di questa pagina fondamentale non solo della vita di Rastello, ma anche della storia europea? Luca si era impegnato in prima persona con i viaggi, con i convogli umanitari e anche con l’accoglienza dei profughi come in quegli anni è avvenuto in tutta Italia. C’erano questi comitati di solidarietà con l’ex Jugoslavia che si formavano spontaneamente in molte città. Noi apparteniamo alla stessa generazione: nati negli anni Sessanta, per noi la guerra, la dissoluzione dell’ex Jugoslavia ha rappresentato uno shock. Eravamo cresciuti in una situazione di pace -anche se sotto la minaccia di uno scontro atomico tra le superpotenze- e poi è arrivata la guerra, vicinissima, una guerra di trincea, come quella che ci hanno raccontato i nostri padri, i nostri nonni. Luca era una di queste decine di migliaia di persone che in Italia hanno dato vita a questi comitati in cui veniva praticato il pacifismo concreto, per riprendere una categoria coniata in quegli anni da Alex Langer, non il pacifismo ideologico, quello dei benpensanti, ma il pacifismo di quelli che cercavano di aiutare le vittime della guerra, tirandole fuori dal conflitto, portando aiuti umanitari o accogliendole a casa loro, come ha fatto Luca. Io l’ho incontrato in questi contesti dopo la fine della guerra, sempre come parte di questo movimento. Questa è una particolarità di Luca, nel senso che per me è un grande scrittore, ha grandissime qualità come narratore, come anche dal punto di vista del rigore giornalistico, però lui stava sempre in mezzo alle situazioni e da quelle traeva informazioni. Non scindeva i vari aspetti della sua personalità: queste caratteristiche concorrevano a un impegno che era insieme umanitario, giornalistico e letterario. Questo punto emerge anche per me da lettore, ed era una cosa abbastanza tipica di quegli anni: quel nodo molto forte fra impegno personale e politico. Sempre ne La guerra in casa, emerge una lunga analisi, molto sofferta, del genocidio di Srebrenica. Che cosa ha rappresentato Srebreniin ricordo L’esperienza della guerra in Bosnia Erzegovina , l’impegno, anche personale, con i profughi, sempre però mantenendo uno sguardo lucido e disincantato anche sugli errori, la carica ideologica e i fallimenti degli interventi umanitari; la polemica sui buoni, a cui pure non si sottraeva; il viaggio in Karabakh, la passione per le lingue, ma soprattutto per le vite delle persone e per la complessità; un ricordo di Luca Rastello. Intervista ad Andrea Oskari Rossini. ONE MORE CUP OF COFFEE... portava questo tipo di approfondimento, di scavo, e lo rivolgeva anche a quelli che facevano aiuto umanitario
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