Una città n. 312

una città 34 La parola cronicità spaventa molto e tende a togliere speranze, quindi non è appropriata, tuttavia è importante assumere consapevolezza che alcuni disturbi, specie se trascurati, possono assumere una forma di lunga durata. Da cosa si capisce che si è in qualche modo invertita la rotta? Il primo segnale è il cambiamento dell’approccio con il cibo: la persona comincia ad assumerlo mentre prima lo rifiutava. Poi il rapporto con alcuni alimenti può rimanere problematico, se prima avevi dieci cibi fobici, magari uno o due rimangano, però il grosso è fatto. Questo però è solo il primo passo. Con il tempo, lentamente, torna anche la capacità e la voglia di stare in mezzo agli altri, la vita sociale, il lavoro o lo studio. Avete tanti volontari: chi sono? Una buona parte dei nostri volontari sono genitori che hanno vissuto questo problema con i propri figli. Ci sono anche persone che provengono da altre esperienze e che a un certo punto scelgono di condividere con noi un pezzo di strada. Noi ne abbiamo diciannove, non è un numero altissimo, anche perché è un tipo di volontariato molto particolare, però l’associazione vive proprio perché ci sono loro. Sono comunque volontari formati, non può farlo chiunque. La formazione viene svolta dai terapeuti, dalle diverse figure professionali. Noi non facciamo pagare nulla a nessuno, quello di cui disponiamo lo raccogliamo con donazioni, con il cinque per mille, con la partecipazione a bandi; certo se non ci fosse il volontario che mette a disposizione il suo tempo, sarebbe veramente difficile stare in piedi. Le persone che hanno sofferto di questi disturbi, qualche volta si sono offerte come volontarie. Su questo siamo molto prudenti perché parliamo di persone che vanno comunque protette. In passato, le abbiamo accolte, abbiamo tentato, ma rimanere a contatto con persone ammalate per chi ha vissuto questa esperienza è davvero faticoso e potrebbe esserci un ritorno negativo. Per concludere, quale messaggio vorresti lasciare? Il più importante è di non vergognarsi. Di chiedere aiuto. Di prendere contatto. Di non sottovalutare. Se un genitore vede che la figlia inizia a cambiare, non deve minimizzare o aspettare, perché il tempo è prezioso. Esiste il servizio pubblico, internet; il Ministero della Salute ha fatto una mappa di tutti i centri pubblici e dei servizi convenzionati dove poter andare a curarsi. Sono centri validati. Poi esistono i siti delle associazioni, a cui chiedere informazioni. Se abbiamo dubbi, andiamo dal medico di base, dal pediatra, cerchiamo di approfondire. Un messaggio forte che vorrei lanciare in questa intervista è che la salute mentale ha la stessa dignità della salute fisica: se la mia mente sta male non vado da nessuna parte perché viene compromesso il mio rendimento scolastico, lavorativo, i miei affetti. Il cervello è una parte del corpo che devo poter curare senza vergogna. Quindi, la dignità della salute mentale. Qui bisogna veramente cambiare. Una cosa a cui penso sempre è che si dovrebbe lanciare una campagna per ripensare i reparti di psichiatria, affinché smettano di essere così tetri, brutti e anche così stigmatizzanti. Perché solo nei reparti di pediatria si dipingono murales, le stanze sono colorate, accoglienti, piacevoli? Anche questo porta a una comunicazione distorta, perché ti fa vedere quel luogo come un ambiente terrificante, invece, la psichiatria dovrebbe aiutare la persona a stare meglio e a contenere il suo disagio quando sta male. (a cura di Barbara Bertoncin) buone pratiche perché solo nei reparti di pediatria si dipingono murales, le stanze sono colorate, accoglienti, piacevoli? la salute mentale ha la stessa dignità della salute fisica: se la mia mente sta male, tutto viene compromesso... 100 riviste, 8.000 fascicoli, 300.000 pagine, 26.800 utenti all’anno. Ci dicono che siamo utili. Però abbiamo bisogno di aiuto. Abbiamo tante idee e tanti progetti, ma senza il vostro aiuto, non ce la facciamo! Una biblioteca digitale per tutte e tutti. Nonostante il volontariato e l’autofinanziamento, siamo comunque pochi e da soli non riusciamo più a coprire lo sbilancio tra le entrate e le uscite. Per sopravvivere la Fondazione ha bisogno di raccogliere 15.000 euro all’anno. Se trovate utile e meritevole questa impresa, che è nostra, ma un poco anche vostra, vi chiediamo di aiutarci con un contributo, che può essere periodico o una tantum. Piccolo o grande che sia, sarà per noi prezioso. Modalità di donazione: bonifico: c/c intestato a Fondazione Alfred Lewin IBAN IT 68 C 03069 09606 10000 0130 502 BIC BCITITMM - Intesa Sanpaolo donazione su PayPal: Ricordiamo che la Fondazione Alfred Lewin-Ets è ente non commerciale iscritta nel RUNTS e pertanto l’erogazione liberale è in parte detraibile. biblioteca Gino Bianco

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