una città 35 Benito Fusco è frate servita e sacerdote. Vive a Bologna. L’intervista è stata fatta prima della morte di papa Francesco. Partiamo dalla tua decisione di farti frate: quando e come è successa? C’è un fatto storico, chiamiamolo così, e poi c’è un’amicizia spirituale con un frate che adesso non c’è più, padre Bruno Quercetti, missionario in Brasile, mandato via dalla dittatura alla fine degli anni Settanta. Il fatto storico è questo: il 6 dicembre del 1990, un aereo militare cade sulla scuola Salvemini di Casalecchio di Reno causando la morte di undici ragazze e di un ragazzino. Io allora ero assessore ai Servizi sociali e alla Sanità di Casalecchio. Subito dopo il disastro il sindaco ci chiamò a raccolta e ci ritrovammo di fronte alla scuola che stava ancora bruciando. Fu sconvolgente. Poi, nella suddivisione dei compiti, il sindaco mi chiese di andare in via Irnerio, alla Medicina legale, per accompagnare i genitori al riconoscimento dei cadaveri. Le salme erano allineate a terra, carbonizzate, quindi difficili da riconoscere se non per i pochi oggetti, orecchini, apparecchi dentali... Ricordo l’odore di kerosene e le urla dei familiari. Ecco, lì ho avuto… ho sentito una domanda pesante, del tipo “io cosa ci faccio qui? Che responsabilità ho di questa cosa terribile?”. Sì, fu il dolore dei familiari a entrarmi dentro. Mi arrabbiai anche con alcuni giornalisti che erano invadenti nel momento più drammatico dopo l’incidente stesso. Poi ci fu la calca negli ospedali per andare dai feriti, che erano novanta, chi con ustioni, a volte su tutto il corpo, chi con fratture, perché qualcuno si era buttato dalla finestra del secondo piano dell’altra ala della scuola. E poi seguì il periodo del recupero della memoria dei ragazzi, dei funerali, e di quello che poteva essere il corso delle indagini. Lì poi il ministero della Difesa la fece da padrone rispetto a quello della Pubblica istruzione, tant’è che ci fu pure un conflitto anche legale per chi dovesse pagare i danni. Il ministero della Difesa voleva liquidare in quattro e quattr’otto i familiari per rimuovere il fatto che il giovane pilota si era lanciato giù dall’aereo in panne durante quella che era un’esercitazione prebellica. Il 18 gennaio ci fu l’attacco all’Iraq. Questo è il fatto storico, dicevi di uno più personale... Il fatto personale, diciamo di tipo spirituale, è stato un insieme di concomitanze, di incontri con persone, con memorie, e anche con una mia fragilità spirituale, che si può pensare anomala in chi ha fatto politica, in uno che veniva da Lotta continua. Un insieme di incroci ha fatto venire alla luce quello che ho chiamato a suo tempo un sangue teologico che chiedeva delle risposte. Ma anche qui furono due fatti a spingermi a cambiare la mia vita. Uno fu la morte di Francesco Lo Russo, un amico carissimo, ucciso a Bologna dai carabinieri durante uno scontro con noi ex di Lotta continua. Francesco l’avevo conosciuto a Lourdes, facevamo i barellieri dei malati. Lui era uno scout del Pesaro 1. C’è il libro di Guidelli, un giornalista di Pesaro del “Resto del Carlino”, in cui racconta la storia di Francesco, anche quella religiosa. C’è una foto in cui lui è inginocchiato e in fondo, dietro, si intravedono degli scout della squadriglia cui apparteneva. Quel giorno l’assistente spirituale li confessava. Erano in una route e nella route era compreso quel momento religioso. Sì, ci siamo conosciuti a Lourdes e certamente quando sei fuori, e per di più in posto come quello, accampati con le tende, non è difficile fare amicizia. Poi ci siamo sentiti, avevamo 1516 anni, adesso non ricordo bene, siamo comunque negli anni Sessanta, gli anni del liceo, io del classico, lui dello scientifico. Io sono del ’52 come Francesco. Quindi, sì, eravamo diventati amici da prima della politica tosta. Il suo papà, comandante della caserma dei soldati a Pesaro, fu trasferito a Bologna e quindi ci ritrovammo insieme all’università negli anni Settanta. Ci siamo iscritti nel ’71, avevamo 19 anni… E su Lotta continua ci abbiamo sbattuto il muso subito. Ovviamente avevamo dei maestri, Gianni Sofri, Franco Travaglini, tanto per dirne due, tutti personaggi storici, insomma. Dopo la morte di Francesco mandai all’aria e al diavolo tutto quello che avevo fatto fino a quel momento lì, che non era niente di che, ma era importante da un punto di vista morale perché, e apro una parentesi, mi ero pure avvicinato alla lotta armata, avendo toccato un distaccamento di Prima linea. Intendiamoci, dal punto di vista, diciamo, terroristico, non ho mai partecipato a niente, ho offerto da dormire a qualcuno e qualche volta ho consegnato dei pacchi da Bologna a non ricordo dove, e senza sapere cosa ci fosse dentro. Francesco non ne sapeva niente, glielo raccontai, lo ricordo bene, dopo un paio di anni. E lo scioglimento di Lotta continua, come l’hai vissuto? Di quel periodo in cui ci fu il congresso di fine ottobre, a Rimini, mi ricordo solo una cosa, che adesso darà fastidio a qualcuno se la leggerà, che sentii durante l’unico giorno in cui fui presente, l’ultimo, e più per curiosità che per altro, perché oramai lo scioglimento era nell’aria. Ebbene, a congresso finito sentii un gruppetto di donne che dicevano: “Maschio, represso, masturbati nel cesso!”, e dei maschi che rispondevano: “Figa, cretina, masturbati in cantina”. Goliardate. Mi dissi che non era più roba per me. Mi avvicinai al movimento, non dico dell’Autonomia, ma a quello più indiano-metropolitano, e soprattutto continuai l’amicizia con Francesco. Anche se, in verità, ci sentivamo ancora di Lotta continua, perché c’erano ancora i locali, c’era il nostro archivio e anche diversi compagni che sapevamo capaci di riaprire un percorso nuovo con altre motivazioni. Poi arriva l’11 marzo del ’77... Sì, come ho detto, è quella la data. La la storia ci siamo iscritti nel ‘71, avevamo 19 anni… E su Lotta continua ci abbiamo sbattuto il muso subito UNA FEDE CONCRETA L’amicizia con Francesco Lorusso, nata a fare i barellieri a Lourdes, il ritrovarsi all’università, la militanza in Lotta Continua fino al suo scioglimento, l’11 marzo del 1977; l’impegno da assessore, unmatrimonio fallito, l’aereomilitare che cade sulla scuola e gli undici ragazzi morti; il Brasile, l’incontro con padre Bruno e la scelta di diventare frate; una fede per “riprendersi lavita”e l’impegnoper unaChiesa“gentile”, non irrigiditanelle regole. IntervistaaBenitoFusco.
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