una città 36 morte di Francesco mi fece fare la prima scelta antipolitica, per come intendevo la politica fino ad allora: essere un amministratore che va in mezzo alla gente e non più un contestatore che fa azioni sempre più difficili da considerare legittime, man mano che si andava avanti. Così sono stato amministratore per undici anni a Casalecchio di Reno. In quel periodo mi sono anche sposato con una ragazza friulana, abbastanza ricca e soprattutto bella, ma abbiamo divorziato dopo nove mesi, non abbiamo fatto in tempo neanche a fare un bambino. Ruppi il rapporto con lei, anche maleducatamente, dopo che mi aveva chiesto di partecipare, essendo lei molto carina, a quella trasmissione con Columbro, a Canale 5, “Tra moglie e marito”; “il gioco delle coppie” lo chiamavano. Siamo rimasti ventitré puntate. Immagini cosa vuol dire ventitré puntate? Eravamo la coppia che aveva vinto di più anche in termini di gettoni di presenza… Sì, ha vinto lei. Poi abbiamo interrotto, ho sciolto la liberatoria, ho detto che non potevo più partecipare perché non eravamo più una coppia, che avevamo litigato proprio per colpa loro... Ma questo è gossip. Quindi ho divorziato… Questo quando? Erano i primi anni Ottanta. Comunque, dopo circa dieci anni, quando ero alla terza legislatura da assessore, il disastro della scuola di quel 6 dicembre mi portò a chiedere l’aspettativa. Ero in crisi, volevo pensare a cosa fare, come rapportare le mie idee al mio impegno, se aveva ancora un senso la mia presenza nel mondo politico o amministrativo. Ed è stato in quel periodo che nella mia vita si intrufolò anche un certo Gesù Cristo. Un giorno, e questo è il secondo fatto decisivo di cui ti dicevo, incontrai per caso, proprio sotto i portici dei Servi a Bologna, in Strada Maggiore, padre Bruno Quercetti, che conoscevo già perché era stato educatore al liceo. Era subito dopo Natale. Ci facemmo un po’ di feste, poi lui, dopo aver saputo tutto quello che era successo, mi disse: “Benito guarda, ti do qualche suggerimento su come superare questa tua fatica di credere e soprattutto di vivere”. Io mi fidai. Mi fece l’offerta di andare con lui in Brasile due-tre mesi insieme a un gruppo di scout… Così passai tre mesi in Amazzonia, in una missione dei frati serviti, nella regione di Rio Branco, la capitale, di cui era vescovo Moacyr Grechi, teologo della liberazione. Era la terra dei fratelli Boff. Per cui fu un trimestre anche molto istruttivo. Vedendo come si viveva in quelle terre, ci schierammo subito con i seringueiros perseguitati dai fazendeiros che li volevano scacciare dalla foresta. Poi c’erano queste nuove truppe di bianchi, legate alle multinazionali, che cercavano di bruciare mezza foresta per alimentare le mucche per gli hamburger della McDonalds. In quel periodo per tanti religiosi la violenza poteva essere giustificata... Sul piano interiore, dal punto di vista della volontà, avevo chiuso con la violenza, però avendo visto come venivano trattati i serenguieros e tutto il resto, era inevitabile sentire un’attrazione legata al senso della giustizia, insomma. Poi, certo, se avessi dovuto difendermi non avrei esitato a colpire. Pensa che Chico Mendez era un nostro catechista, dei servi di Maria di Xapuri, vicino a Sena Madureira, distante da Rio Branco un centinaio di chilometri. Apro un’altra parentesi: fu un frate bastardo, un servita, Pellegrino si chiamava -aveva preso il nome dal santo- a far catturare Che Guevara, indicando il giorno, l’ora e il luogo in cui si sarebbe trovato coi suoi. Lo disse ai servizi segreti brasiliani, che avvisarono quelli boliviani. Non so come l’avesse saputo, ma è lui il colpevole della cattura di Che Guevara da parte dell’esercito boliviano, e quindi anche della sua uccisione. Per dire, insomma, come il senso della violenza veniva vissuto, anche perché non eri solo, ti sentivi già perdonato se c’era qualcosa che non andava. Padre Bruno Quercetti però era una persona di grande tenerezza, una persona fragile, piangeva se vedeva piangere un bambino. Con Bruno avevo un rapporto molto personale, spirituale. Ricordo delle serate a cielo aperto, il bellissimo cielo brasiliano, che fa luce, perché non disturbato da quella artificiale, e guardando le stelle dicevamo sì le nostre sciocchezze, ma cercando di apprendere meglio quali erano i punti di vista della Chiesa, i punti di vista spirituali, la verità o meno della Bibbia, tutte domande nuove per uno come me, malgrado la formazione cattolica ricevuta da una mamma ragazza madre. Dopo quell’esperienza padre Bruno mi mise con le spalle al muro, mi disse che era ora che prendessi una strada diversa. Abbiamo cercato di fare una preparazione libera, piena di sentimenti e anche di ideali… Allora seguire la teologia della liberazione era come essere partigiani nascosti, anche rispetto alla titolarità dei religiosi, cioè ai vescovi. In Brasile avevamo Francesco Lorusso, bambino, prega durante un campo scout incontrai per caso, proprio sotto i portici dei Servi, padre Bruno, che conoscevo già, era stato educatore al liceo 6 dicembre 1990, disastro aereo all’Istituto Salvemini la storia
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