Una città n. 312

avuto quel benedetto vescovo lì e avevamo succhiato tutto quello che si poteva per affrontare anche dentro la chiesa un percorso di vita. Allora mi hanno accolto all’eremo di Rozzano, dei Serviti, che è lì da 1.200 anni, sopra Bologna. Lì ho respirato un’aria molto tranquilla, serena. Ne parlarono i giornali, perché ovviamente passare da assessore a frate fa un poco notizia, e poi anche il cardinale Biffi, ammiccò un pochino perché aveva letto dei miei precedenti politici… Poi la giunta di Casalecchio era sempre stata di sinistra, Pci e Psi. Ultimamente con il Pd non si capisce più niente, però la storia di Casalecchio è quella di un Partito comunista tosto, duro, che ha avuto come sindaco anche Floriano Ventura, uno che girava con la pistola a Reggio Calabria quando ci fu il “boia chi molla”… Avevano mandato lui come commissario del partito. Ed era stato proprio lui, quando divenne sindaco di Casalecchio, a invitarmi in pizzeria per una chiacchierata, e così divenni assessore. Io ero con la componente socialista, perché avevo fatto amicizia all’università con Franco Piro. Franco era una persona molto intelligente, ma con un carattere anche un po’ difficile, forse per il suo stato di salute e anche per il fatto di essere in carrozzina. Quando morì fui io a fargli il funerale e alla basilica dei Servi c’era mezzo Partito socialista . Veniamo alla fede. Quindi, decidi di farti frate. Eri sempre rimasto credente? Credente, però non praticante. La mamma era religiosissima, è stata anche nel consiglio pastorale di Casalecchio. Sì, ho seguito le orme di padre Bruno Quercetti che era, tra l’altro, uno degli ultimi allievi di David Turoldo. Era responsabile del centro missionario servita, dove ha lavorato bene e mi ha insegnato bene, tant’è che quell’incarico nazionale in seguito lo assunsi anch’io. Così cominciai a girare, a fare propaganda, portando ad esempio proprio quello che era successo a me, quel che chiamavo “il riprendersi la vita”. Ogni anno portavo quindici, venti ragazzi, con me, in missione. Per ventitré anni sono stato due mesi all’anno nel sud dell’India, nel Tamil Nadu, con ragazzi che facevano volontariato. Sono stato in Brasile, certo, in Messico due volte. Poi ho fatto la campagna del Kosovo, sono stato anche premiato a suo tempo per il servizio di raccolta dei rifugiati e per aver difeso le donne rifugiate che gli albanesi andavano a rapire. Un episodio che tengo a citare è l’incontro che con Michele Smargiassi riuscimmo a organizzare fra Giovanni Lorusso e Massimo Tramontani, il carabiniere che aveva ucciso Francesco. Su, all’eremo di Ronzano. Venne il fratello di Francesco, perché Agostino, il papà di Francesco, non era favorevole a incontrarlo né a perdonare. In realtà poi si venne a scoprire che quella di sparare non era stata l’iniziativa isolata di Tramontani, ma che ai carabinieri della camionetta colpita da una prima nostra molotov fu dato l’ordine da un carabiniere di cui non ricordo più il nome. Loro hanno sparato dopo che voi avevato lanciato le molotov... Sì, erano già state lanciate… E loro hanno reagito sparando. Esatto. Proprio così. C’era in corso un’assemblea di Comunione e liberazione. Cosa volevate fare voi? Disturbare, sì. Anche perché senza che i compagni avessero mosso un dito, quelli di Cl avevano chiamato la polizia tramite il rettore. E questo fu considerato uno sgarbo. Allora si è detto: se siamo già stati bollati per aver fatto qualcosa che non abbiamo ancora fatto cominciamo a fare qualcosa. Adesso non ricordo, ma qualche cazzottone arrivò a qualcuno, nessuno però aveva bastoni. Torniamo alla fede. Ne discutiamo ogni tanto, l’impressione è che la fede sia in una crisi profonda, come una cosa astratta. Sì, si deve ripartire dal concreto. La parte della concretezza della fede è importante perché è quella che ti consente di assumerti delle responsabilità dell’altro. Responsabilità non contro l’altro, ma con l’altro. Una chiesa della partecipazione. Quella che noi chiamavamo “la chiesa dei poveri”, adesso, in questo tempo, quella ideale la chiamiamo “la chiesa della tenerezza”, cioè dei modi gentili. La fede dell’innamoramento di Dio ha dentro anche visioni che non sono esclusivamente cristiane o cattoliche, ma universali. Tu che hai avuto la fortuna di conoscere e di leggere il suo amico Camillo de Piaz, leggi Turoldo e allora capirai che tra il nulla e niente c’è differenza. Che Dio può essere chiamato anche “il nulla”, il nulla che ti coinvolge e che ti fa perdere te stesso per identificarti nell’altro. So di dire cose che sembrano slogan... Anche in Lotta continua alla sua fondazione la componente cattolica credo sia stata importante, almeno per metà direi. E alcuni di noi venivano dallo scoutismo che è la ricerca di una formazione alla libertà anche dentro la chiesa. Infatti non è che lo scoutismo sia stato accolto facilmente dalle parrocchie. Questa idea del frate, della persona di riferimento, che ha esperienza, come padre Bruno per me, questo c’è anche nello scoutismo. Non è un caso che in tutte le nostre case parrocchiali, noi serviti non ne abbiamo tante, ma in quelle poche ci sono anche i gruppi scout. Lì, più che degli insegnamenti, si fa esperienza della comprensione degli altri, dello stare in comunità non egocentriche... Ti decentra lo scoutismo. Non c’è il leader, ci sono delle figure o delle contro-figure. Ecco. Poi, riprendendo il discorso della fede, voglio dire che per me Dio non va antropomoformizzato. Dio per me è più legato a un sistema tra virgolette “elettrico”. Di luce. Di qualche cosa di meraviglioso che può entrare e uscire da te con indifferenza, senza rovinarti, oppure per rovinare per sempre quelli che sono i tuoi disegni più… diciamo, di bassa lega. Tenendo però sempre presente che dalla bassa lega ci si passa sempre. Questo l’ho sperimentato. C’è un noviziato da fare, per toglierci di dosso quelle che possono essere le ferite che l’altro non vede in te o che addirittura ti procura con le sue scelte. E poi ci sono figure legate alla cristianità una città 37 Dio può essere chiamato anche “il nulla”, il nulla che ti coinvolge e che ti fa perdere te stesso per identificarti nell’altro Chico Mendes nella sua casa di Xapuri, Acre (Brasile) (foto di Miranda Smith)

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