Una città n. 312

una città 39 la storia come vescovati e cardinalizi, gli si vuole certamente più bene rispetto a tutti gli altri papi per come si comporta, però rischia di fare esplodere all’interno la parte che se diventa vincente siamo tutti rovinati, rovinati nel senso che non ci sarà più spazio di libertà nella Chiesa. Noi non ce ne accorgiamo, ma papa Francesco ha tagliato con delle cesoie ben solide tanti aspetti che prima erano intoccabili. Poi spontaneamente dice anche cose spiacevoli per chi ascolta come per esempio questo benedetto rapporto sul fatto che non ci siano donne prete, insomma, o con un ruolo diverso ma importante… Forse lui lo farebbe in un quarto d’ora, il problema è che un quarto d’ora dopo che l’ha fatto ci sarà qualcuno che fa scismi se non di più. La misura di come sta la Chiesa la danno i ciellini. Già adesso li vedo, io li riconosco subito, sono sempre stato inseguito dai ciellini, sapevano come la pensavo. Quando ero a Misano Adriatico, perché ero il direttore dell’istituto San Pellegrino, un liceo linguistico, non mi hanno voluto neanche nel consiglio presbiterale. Sono migliori solo quando non toccano la Compagnia delle Opere, perché quella è proprio una banda armata. A dirlo così sembra quasi che ce l’abbia con loro, ma non è vero. Al liceo ho avuto un grande amico, morto poi in un incidente stradale, Enzo Piccinini, che era il capo dei ciellini di Modena e Bologna e amico intimo di don Giussani. No, non sono prevenuto, vedo quello che fanno. Stanno rimbambendo le nuove generazioni. Mi sembra che ci sia tutta una parte che rimprovera questo Papa ed esalta quello precedente per la questione, se ho capito bene, della verità. Questa cosa della verità mi sembra fuori dal tempo, anche perché moltissimi non ci credono più e allora un cristianesimo vincolato solo alla verità non avrebbe più nulla da dire. Bah, questa mia è sicuramente una sciocchezza, lasciamola perdere... Ma non è una sciocchezza, è una cosa seria. La verità è qualcosa che devi imparare a memoria, invece la fede è qualcosa di concreto e quotidiano. Chi sceglie la verità sceglie la religione. Ma quando è nato Gesù Cristo la religione è morta, con lui è nata la fede. La fede è il nuovo modo di esprimere la verità, non una verità da imparare a memoria, ma una verità da fare. È da fare, la verità. E non ha tutti quei contorni rigidi, inflessibili, impetuosi e assolutistici che esprimi con la verità. Con la fede puoi esprimere tutta la fantasia che Dio ha in te. Tutta. E quindi sei uno sperimentatore, sei un dio, hai una parte divina in te. Questo è concretezza. Cristo si è consegnato alla fede sulla croce, perché sulla croce perdeva la luce e ha detto al Signore: “Perdonami e non abbandonarmi”. E quindi è qualche cosa che è ancora da raccogliere, ancora da fare. Lì ha fatto fino a un certo punto. Poi sulla risurrezione, è vera o non è vera, la luce è vera o non è vera? Noi abbiamo un rapporto umano con Dio, il quale ci dà la possibilità di abbracciare la sua divinità ed essere divini anche noi, il che non ha nulla a che fare con i miracolismi vari che si accompagnano da sempre a questa parola e che vanno spazzati via. Sì, una concretezza labile, ma profonda nello stesso tempo. Qualche cosa che può farti cambiare la vita, insomma. Concludiamo con una curiosità. Prima di iniziare avevi fatto un accenno alla maledizione del nome, “Benito”... Ho dovuto lottare tutta la vita contro il mio nome. Sì, lo devo a mia madre, “Benito”. Lei me l’ha sempre raccontata così: “L’avevo promesso allo zio, lo zio l’hanno ucciso e così ti ho dato quel nome”. Per fortuna poi mia madre era molto avveduta, aveva molta creatività, e mi mandò a fare amicizia con il figlio Nino del sindaco Renato Giorgi, dottore e capo partigiano. La sua brigata fu la prima a entrare a Casalecchio di Reno nel ’44, circa. Liberarono prima Casalecchio e dopo Bologna, il 21 aprile. Fra un po’ c’è l’anniversario dei partigiani che furono legati con il fil di ferro in una stradina di Casalecchio, oggi diventata una piazza dedicata a loro. E lo zio fu ucciso dagli antifascisti? Sì. Perché lui era il podestà fascista di Bondeno, fratello gemello del papà di mia madre. Questi però non era fascista per niente, anzi erano in lite, loro due. Ma mio nonno morì. Per una sciocchezza: la notte del 6 gennaio si era vestito da befanone e, attraversando un ponticello mezzo ghiacciato su un canale lì a Bondeno, scivolò e si infilò una scheggia di legno nella mano. Dopo una settimana aveva il braccio nero: tetano. Aveva undici figli, mia madre aveva dieci anni. A quel punto la nonna vedova, non potendo allevarli tutti da sola, li distribuì ai fratelli, gli zii cioè, numerosi anche loro. Mia madre capitò sotto lo zio Pietro, quello più politicizzato. Infatti lo diceva a mia madre, che lui avrebbe fatto una brutta fine, perché aveva distribuito molto olio di ricino durante la sua militanza e poi, si diceva, che facesse del mercato nero con altri leader fascisti di quella zona lì, del ferrarese dove i fascisti non mancavano. Però i partigiani segnavano conto e quando ebbero possibilità di farlo, ne uccisero parecchi. Lo zio con altri fu seppellito vivo, dicono, sulla sponda del Po. Per mia madre fu come perdere il secondo papà. E allora cosa fai ai partigiani per vendicare lo zio? Chiami tuo figlio Benito! Cazzo, me la sono dovuta vedere io, dopo, questa cosa qui! (a cura di Gianni Saporetti) la verità è qualcosa che devi imparare a memoria, invece la fede è qualcosa di concreto e quotidiano fra Benito con alcuni bambini di Budrio nel 2010

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