Una città n. 312

una città 6 israele-palestina mo demolendo sempre più case; [i palestinesi] non hanno un posto dove tornare…”. L’unica conseguenza naturale sarà il desiderio tra i cittadini di Gaza di emigrare. Il nostro problema principale è trovare Paesi disposti ad accoglierli [5]”. Durante la riunione Netanyahu ha detto esplicitamente ciò che fino ad allora aveva lasciato dire a Smotrich, cioè che i cittadini di Gaza potranno ricevere gli aiuti purché non tornino nei luoghi da cui arrivano. In altre parole, uno degli obiettivi dei centri di distribuzione gestiti dalla Ghf è attrarre la popolazione di Gaza nel sud dell’enclave per indurre a uno spostamento permanente dal nord e dal centro verso il confine con l’Egitto e, in una seconda fase, verso gli eventuali paesi disposti ad accoglierli. Già a metà di giugno i piani del governo israeliano erano a buon punto: secondo l’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (Ocha), l’82% del territorio di Gaza è un’area vietata ai palestinesi o sotto ordini di sfollamento. Sempre a maggio, in un video postato su X, Netanyahu ha dichiarato che sebbene Israele stia dispiegando “forze massicce per prendere il controllo di tutta la Striscia di Gaza... non possiamo arrivare alla carestia, per ragioni pratiche e diplomatiche”, aggiungendo che “i più stretti amici di Israele nel mondo”, compresi senatori statunitensi, gli hanno detto che il loro sostegno [per Israele] è incrollabile, ma che non possono “sopportare immagini di fame di massa” [6]. In questa dichiarazione ci sono due elementi da porre in evidenza: per la prima volta dall’ottobre 2023, un politico israeliano, e non uno qualsiasi, riconosce pubblicamente l’esistenza della fame nella striscia. In secondo luogo, Netanyahu ammette candidamente di consentire la ripresa dell’assistenza alimentare a Gaza solo per non contrariare certi politici americani amici suoi e non mettere in tal modo a rischio il sostegno militare Usa alla campagna bellica israeliana. In sostanza, il dilemma affamare o non affamare un popolo viene trattato come una questione di pubbliche relazioni. Del resto, da ventidue mesi a questa parte, i palestinesi sono sempre più alla mercé degli aiuti umanitari visto lo stato di devastazione in cui versano i principali mezzi di sostentamento della popolazione: l’agricoltura e la pesca. Ad aprile di quest’anno, la Fao stimava che l’80% della superficie totale coltivata della Striscia di Gaza era stata distrutta o danneggiata. Allo stesso modo in seguito alle ostilità, dall’ottobre 2023, fino ad oggi, il settore della pesca ha subito un crollo catastrofico, operando solo al 7% della sua capacità produttiva precedente all’escalation. Gaza che non era autosufficiente in produzione alimentare neanche prima del 7 ottobre, non potrà per molto tempo produrre cibo sufficiente per sfamare neanche una piccola parte della popolazione. Quindi, anche se l’esercito israeliano si ritirasse da una parte della striscia, l’emigrazione forzata -nota nel linguaggio del diritto internazionale come pulizia etnica- potrebbe restare l’unica opzione disponibile ai gazawi. La messa in scena distopica della Ghf avrebbe potuto essere evitata. A metà maggio le Nazioni Unite avevano presentato a Israele un piano completo che rispondeva alle preoccupazioni di sicurezza degli israeliani: osservatori Onu a ogni valico di entrata in Gaza e ai checkpoint, merci etichettate con codice Qr, camion tracciati tramite gps su percorsi pre-autorizzati dall’esercito israeliano e distribuzione di cibo in quattrocento siti. Prima di essere presentato ufficialmente, il piano dell’Onu era stato discusso con l’unità di coordinamento per gli affari civili dell’esercito israeliano, che non ha dato il suo consenso. Del resto, perché il governo israeliano avrebbe dovuto accettare un sistema di aiuti più efficiente che non prevede l’uccisione quotidiana di disperati in attesa di cibo? In questa primavera, il governo di Netanyahu ha realizzato l’auspicio di Smotrich che nel 2024 aveva confessato a malincuore: “Nessuno al mondo ci permetterebbe di far morire di fame e di sete due milioni di cittadini, anche se fosse giusto e morale” [7]. Smotrich, però, in quella circostanza si sbagliava. Il “mondo” magari deplora a mezza bocca i metodi dell’esercito israeliano, ma in sostanza si guarda bene dall’intralciare uno sterminio eseguito mediante fame, sete e pallottole. Bibliografia selezionata [1] Spitzer Y., Comunicazione personale, 24 luglio 2025. Yannay Spitzer è professore di economia presso l’università ebraica di Gerusalemme. [2] World Food Programme, Market Monitor - Gaza, Wfp Palestine Food Security Analysis, giugno 2025. [3] Hasson N., Kubovich Y. e Peleg B., “‘It’s a Killing Field’: Idf Soldiers Ordered to Shoot Deliberately at Unarmed Gazans Waiting for Humanitarian Aid”, “Haaretz”, 27 giugno 2025. [4] Jewish News Syndicate, “Sa’ar: Encouraging Gaza emigration ‘most moral and humane thing”, 27 aprile 2025. [5] Bloch A., “Limor Son Har Melech ha sbalordito la commissione della Knesset”, “Maariv”, 11 maggio 2025. [6] Netanyahu, B., “Un aggiornamento importante da me per voi”, X, 19 maggio 2025. [7] Karni D., “Israeli minister says it may be ‘moral’ to starve 2 million Gazans, but ‘no one in the world would let us’”, Cnn, 6 agosto 2024. “nessuno ci permetterebbe di far morire di fame e sete 2 milioni di cittadini” aveva detto Smotrich Fig. 2 L’aumento dei prezzi del cibo a Gaza da settembre 2023 a giugno/luglio 2025. Elaborazione su dati WFP, 2025, Spitzer, 2025

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