una città 8 sti. Quindi finché c’erano soltanto i coloni, loro sono rimasti nell’area. Quando i coloni hanno chiamato i soldati, sono scappati. A quel punto abbiamo iniziato a fare da vedetta. Abbiamo cominciato a vedere dei movimenti avanti e indietro che non capivamo, dopo un po’ abbiamo visto spuntare delle bandiere... Avevano piantato ben dodici bandierine! Quando i coloni sono andati via, i palestinesi si sono organizzati per andare a strapparle. Purtroppo hanno calcolato male i tempi... Anche qui non è finita bene, perché i coloni hanno immediatamente chiamato i soldati che nel pomeriggio sono andati nel villaggio ad arrestare uno dei fratelli di questa famiglia. Queste azioni hanno sempre un intento intimidatorio, per cui il giorno dopo l’hanno rilasciato dietro pagamento di una cauzione, per poi tornare, di lì a poco, ad arrestarlo di nuovo... Io trovo ammirevole questa loro forma di resistenza, con cui, pur in modo semplice e forse anche un po’ scalcagnato, non si stancano di affermare che quella è la loro terra e non se ne andranno. Qual è l’appiglio formale con cui viene loro sottratta la terra? È complicato. Le comunità che sono state espulse e poi riammesse ora sono di nuovo sotto ordine di evacuazione, perché lì hanno istituito una zona di addestramento militare, che è una delle strategie dello stato israeliano per sottrarre la terra, insieme all’istituzione di siti archeologici, parchi nazionali, ecc. Insomma, questi villaggi sono finiti all’interno di una zona di addestramento militare che “casualmente” si trova nel corridoio che collega il sud di Israele, quindi il Negev, con il nord. I più giovani cosa pensano, che prospettive hanno? Loro sono lì. Molti potrebbero andare via; hanno un’istruzione superiore elevata; diversi sono diventati giornalisti e scrivono per testate internazionali. Il fatto è che non vogliono andare via. Hanno ereditato la battaglia dei loro nonni e nonne. E quindi scelgono di rimanere con tutte le difficoltà del caso. In questi anni hanno messo in campo anche forme nuove di resistenza. Sono nati e cresciuti all’interno di questo Comitato di resistenza popolare che già aveva scelto la nonviolenza come strategia e nel 2018 hanno formato un collettivo che si chiama “Youth of Sumud” che si muove in modo molto intelligente. Sarura, un villaggio abbandonato a causa della violenza dei coloni e dei costanti attacchi subiti, ormai ridotto a poche pietre e alcune grotte, era però in una posizione strategica; ecco, i giovani hanno deciso di ripristinare le grotte, risistemare le case, dopodiché hanno restituito le chiavi ai proprietari. È stato un bel gesto di resistenza collettiva; tanto più che erano stati appunto i più giovani sia a pianificarlo che a realizzarlo. Oggi sono loro che portano avanti le forme di resistenza più importanti. Ma chi sono questi coloni? Quelli di cui parliamo sono spinti da un’ideologia che è un mix di fanatismo religioso, ultranazionalismo ed etno-suprematismo ebraico. Non sono contadini o pastori, per ceto sociale, lo sono diventati sempre di più perché negli ultimi anni una delle strategie di occupazione delle terre è quella che viene chiamata di “herding colonialism”, un colonialismo di insediamento in cui ci si appropria anche delle modalità native e le si rivendica come proprie. La prima volta che ci sono andata, c’erano pochissimi coloni pastori adesso invece sono sempre di più. Come non bastasse, ci sono pure dei programmi di reinserimento di minori attraverso la pastorizia per cui i ragazzi vengono mandati nelle colonie, come riscatto sociale! C’è infine un programma analogo per gli orfani. Molti coloni non vengono da Israele, sono ebrei che fanno la loro “Aliyah”, prendono la cittadinanza e vanno a vivere negli insediamenti. Esiste un sistema ben organizzato; c’è il coordinamento delle colonie, ci sono delle fondazioni private che finanziano. Il tutto poi avviene con il sostegno, economico e burocratico-amministrativo, del governo. Nella zona dove operiamo noi, ci sono molti ebrei americani, francesi, qualche italiano; principalmente vengono dall’Europa e dagli Stati Uniti; ci sono poi diversi sudafricani, qualche etiope, ecc. Qual è il rapporto tra i coloni e i soldati? Ormai non c’è più distinzione: spesso i coloni sono soldati e infatti adesso si chiamano “soldati coloni”; sono principalmente dei riservisti; essendo l’esercito impegnato a Gaza, vengono coinvolti questi riservisti volontari. All’inizio si faceva fatica a distinguerli, ora capiamo che sono loro perché sono meno equipaggiati; spesso hanno un abbigliamento tipo quello da softair che si trova nei negozi. Però, a parte questo, hanno lo stesso potere; spesso anzi si vedono i coloni dare ordini ai soldati. Di recente c’è stato un attentato e i soldati hanno arrestato il colono responsabile; il giorno dopo Ben Gvir ha fatto una dichiarazione contro l’esercito... E con gli internazionali e gli israeliani che sostengono la lotta palestinese? Va un po’ a ondate. Nelle ultime due settimane l’obiettivo dell’esercito non sono più i giovani hanno formato un collettivo che si chiama “Youth of Sumud” che si muove in modo molto intelligente...
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