Una città n. 282

una città 47 tuano, fino agli ultimi decenni del Cinquecento. Ortrog, Cernigov, la risorta Kiev furono centri di vita sociale e di attività intellettuale. La Chiesa della “piccola Russia” conservò la sua autonomia. Allo stesso modo che i serbi, i moldovalacchi, i moscoviti, anche la nazione ucrainica ebbe il suo metropolita che (a differenza di quello di Mosca) seppe conservare buone e continue relazioni colla madre Chiesa di Costantinopoli. Nel XV e XVI sec. gli uomini e le idee della chiesa di Kiev erano considerati a Mosca con molta diffidenza, quasi come eretici. Ma non tutta la piccola Russia restò annessa agli Stati della corona polacca. Ucraina vuol dire terra di confine, marca. Era l’epoca in cui massimamente s’affermava la vitalità invadente delle stirpi slave: Serbia di Stefano Dascian, Boemia di Carlo IV, Polonia di Casimiro il Grande. Man mano che scemava l’irruenza tartara, le genti di Galizia poterono inoltrarsi verso le steppe. Ripopolarono le contrade devastate, si mescolarono a tutti gli avanzi di egemonie asiatiche successivamente infrante: kasari, petceneghi, polovzi. Non protetti da confini naturali, esposti continuamente alle feroci razzie dei nomadi di Crimea e di Kipciak, s’accamparono i cosacchi dell’Ucraina. Fu un ordine cavalleresco, ma democratico, contadino. Continuatori plebei delle principesche masnade dell’antica Kiev. Nelle comunità cosacche sopravvivevano le incomposte autonomie delle città del Dniepr coi loro “viece” (assemblee di popolo o consigli di paterfamilias). I canti guerreschi dei cosacchi sono una trasformazione naturale della “chansons de geste” (poesia di corte da non confondersi coll’epica popolare) -che celebravano i principi di Kiev o di Galizia e le loro prodi “drugine” (ambacti, “ maisnie”). I cosacchi hanno creato la nazione ucrainica. Per tre secoli furono uno Stato libero, veramente slavo nella sua anarchica coerenza, nella sua fervida e semplicissima religiosità. Stefano Batory riuscì (verso il 1580) a dare un aspetto più regolare al “petmanstvo” d’Ucraina e a mettere i cosacchi al servizio della Polonia nelle grandi guerre contro Turchi e Moscoviti. - - - La lingua ucraina-rutena è altrettanto diversa dalla russa quanto dalla polacca. Se ha di comune colla russa l’influenza grammaticale che esercitò lo “slavo di Chiesa” (d’origine macedonica?) si è pure arricchita di moltissimi termini adottati dal polacco e magari per tramite polacco dal latino e dal tedesco. Le fondamentali differenze antropologiche tra russi e ucraini come le caratteristiche particolarità della vita popolare in Ucraina (organizzazione del villaggio, diritto familiare, “classi di uomini” secondo l’età) -sono in tutti i manuali di etnografia. Quello che importa però è che storicamente la vita dell’Ucraina non si sia mai fusa con quella della Moscovia e che la resistenza, il sentimento d’autonomia, si sia mantenuto nelle masse e nella minoranza cosciente e si sia rinforzato da un secolo in qua. I turchi -che hanno costretto l’Ungheria a sottomettersi agli Absburghi, la Dalmazia a ricercare quasi il dominio di Venezia, i popoli balcanici tutti ad accettare umilmente la tutela di qualsiasi potenza cristiana- sono stati la vera causa del “satellismo” dell’Ucraina verso la Polonia prima e verso la Moscovia poi. La politica polacca del XVI secolo e la grande crisi moscovita del XVII sec. hanno determinato l’avvenire del popolo ucraino. (scritto nei corridoi del Distretto di Milano - continua) 12 aprile 2004 Era cominciato un nuovo assedio, feroce, senza risparmio di armi e di vite di civili. Quando ormai Komsomolskoe era praticamente raso al suolo e Gelaev e una parte dei suoi se l’erano miracolosamente svignata nonostante i numerosi cordoni di sicurezza intorno al villaggio, i federali proposero ai combattenti rimasti di arrendersi, con la promessa di un’amnistia. La ottennero in settantadue, come ufficialmente dichiarato dal comando nel marzo del 2000. Settantadue persone vennero amnistiate. E prontamente arrestate. Solo tre famiglie sanno dove sono i loro cari, gli altri non sono mai tornati a casa. Sul video gli “amnistiati” vengono scaricati da due camionette e fatti salire su un vagone merci alla stazione cecena di Cervlennaja. A girarlo sono alcuni ufficiali delle truppe speciali del ministero della Giustizia russo. L’unico possibile paragone è con i film sui lager nazisti. Soldati con i mitra spianati lungo una collina alle cui pendici corrono i binari della ferrovia. Un treno. Militari che tengono sotto tiro chi viene spinto fuori dalle camionette. Tra i prigionieri si riconoscono due donne: hanno ancora i vestiti addosso e, a differenza degli uomini, non sono state picchiate. Vengono subito separate dal resto del gruppo. Gli altri sono maschi, adulti e ragazzi (si distingue chiaramente il viso di un ragazzino di quindici-sedici anni). Li spingono giù dai camion, oppure sono loro a saltare a terra. Tutti quanti sono in pessime condizioni, alcuni vengono portati a braccia dai compagni. Quasi tutti sono feriti. A qualcuno manca un braccio o una gamba, un altro ha un orecchio penzoloni (“Guarda quello! Non gliel’hanno staccato del tutto, l’orecchio” commenta una voce fuori campo). Molti sono completamente nudi, scalzi, insanguinati. Scarpe e vestiti vengono scaricati a parte. Sono tutti denutriti. Molti si muovono come sonnambuli, senza capire che cosa sta succedendo. Molti sembrano pazzi. I soldati li picchiano, ma non troppo forte, per inerzia quasi, per un qualche riflesso condizionato. Non si vedono medici. Ai più forti fanno scaricare i cadaveri di chi è morto durante il tragitto. Alla fine del video accanto ai binari si leva una montagna di corpi di “amnistiati”. Un particolare salta agli occhi: i federali non toccano mai i combattenti con le mani. Solo con gli stivali o con il calcio dei mitra. Il loro è ribrezzo. Girano la faccia dei cadaveri con la punta degli scarponi. È curiosità, curiosità pura, la loro, perché non c’è nessuno che scriva, registri o compili dei certificati di morte. Non ne parlano nemmeno, perché l’audio è chiarissimo. Alla fine del video, per esempio, si sentono dei federali che commentano ridendo: “Avevano detto settantadue, invece sono settantaquattro... Vabbè, tutto grasso che cola...”. Ma veniamo alle conseguenze della pubblicazione di quella che è stata la nostra Abu-Ghraib. Niente. Nessuna reazione. Da parte di nessuno: opinione pubblica, mass media, procura... Anna Politkovskaja, Diario russo, 2003-2005 (Adelphi, 2007) la visita Cimitero di Troekurov, Mosca

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==