Una città n. 283

una città 10 cosa sta succedendo nuovo stato, la Russia, decine di milioni di compatrioti. In quel momento si apre un percorso anche di discontinuità rispetto alle politiche del passato: Putin diventa molto aggressivo dal punto di vista politico; per lui la statualità, dunque la sovranità russa, non è più un atteggiamento solo di difesa ma anche in qualche modo “costruttivo”, cioè portatore di un tentativo di riunificazione. Io ho cercato di capire in che modo si è cercato di portare avanti questa riunificazione. Sicuramente c’è stato l’aiuto a tutti i separatismi: dalla Georgia, quindi l’Abkazia e l’Ossezia del sud, alla Crimea e al Donbass, ma poi c’è la Moldova, con la Transnistria... Il governo russo ha assunto un approccio foriero di forti tensioni a livello internazionale in questi ultimi anni. Per quanto riguarda la cosiddetta “tutela dei compatrioti”, dicevi che un ruolo importante l’ha giocato la riforma delle leggi sulla cittadinanza. Puoi raccontare? Le modifiche e integrazioni alla legge sulla cittadinanza nella Federazione Russa sono state numerose nel corso del tempo. Qui è importante credo fornire qualche dato: dal 1992 al 2002, dieci anni, circa due milioni e 900 mila persone hanno ricevuto la cittadinanza russa. Dal 2003 al 2013, la Federazione ha guadagnato altri due milioni e ottocentomila nuovi cittadini, a cui vanno aggiunti altri tre milioni e trecentomila soltanto nel quadriennio 2014-2017. Assistiamo quindi a una vera e propria accelerazione. Chi sono questi nuovi cittadini? Sono persone che vengono dalle ex repubbliche sovietiche, in primis l’Ucraina che, nel corso degli anni, è stato il paese che più ha dato nuovi cittadini, poi Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Armenia, e così via. Questi sono i bacini principali. In sostanza sono state introdotte tutta una serie di facilitazioni che hanno visto allentare quelli che erano i requisiti tradizionali, per cui ottenere la cittadinanza russa è ora molto facile: addirittura non è neanche più necessario superare una prova di lingua, cioè non occorre parlare russo. Molti passaporti sono stati rilasciati in occasione di questi conflitti ibridi: molti nuovi cittadini vengono infatti da Abkhazia, Ossezia meridionale, Transnistria. Ma ciò che più colpisce, al di là dei numeri, è che sono state definite nuove politiche migratorie. Poco prima del conflitto, è stato varato un nuovo programma per il periodo 20192025. In questi documenti si sottolinea come le politiche migratorie e le politiche della cittadinanza siano dei temi fondamentali per lo sviluppo del paese perché, da un lato, devono proteggere il mercato nazionale (la Russia in questo momento ha un grave deficit di manodopera); ma poi servono -recita il documento- “a favorire la pace interetnica e interreligiosa”; infine si sottolinea la volontà di proteggere e conservare la cultura, la lingua e il patrimonio dei popoli della Russia. Qui il riferimento ai bielorussi e agli ucraini è del tutto evidente. Infine, queste politiche, oltre alle ragioni economiche e a quelle di carattere interreligioso, interetnico, devono servire a costituire la base del codice culturale russo. Qui siamo proprio di fronte a un nuovo progetto; a un nuovo modello. C’è l’idea di una nuova via, di un cammino peculiare, di un Sonderweg russo, che si può costruire anche sulla base della guerra. Ma un’evoluzione così brutale della guerra era una tappa prevista o c’è stato un errore di valutazione? Personalmente sono rimasta molto colpita dalla riunione pre-invasione; quella in cui erano presenti il governo e il responsabile dei servizi; l’ho ascoltata con grande attenzione e ho anche letto dei commenti di giornalisti russi non governativi, della stampa non allineata, che hanno cercato di cogliere anche i gesti, l’intonazione della voce, il modo in cui Putin interrogava i suoi ministri. La percezione è che la decisione di invadere sia stata presa da un gruppo davvero molto ristretto. La maggior parte delle persone presenti all’incontro del consiglio di sicurezza palesemente non sapeva cosa sarebbe successo. Basti pensare al comportamento di Sergei Naryshkin, il capo dei servizi, e alla figura un po’ patetica che ha fatto. Nel suo caso era evidente che non sapeva cosa stesse succedendo. Probabilmente le uniche persone informate erano il ministro della guerra, della difesa, e il responsabile della guardia nazionale, l’ultimo a parlare e il più esagitato di tutti. Non è chiaro se lo stesso Lavrov fosse ben consapevole di quello che stava avvenendo. Che poi questa decisione fosse nell’aria, beh, questo sicuramente. Verosimilmente la prospettiva era però quella di fare una guerra lampo. L’obiettivo -anche questo si è detto- era l’uccisione immediata di Zelensky e la creazione di un nuovo governo. Gli Stati Uniti però hanno avvisato Zelensky e lì le cose sono cambiate, poi è arrivata la resistenza ucraina, che nessuno si aspettava e a quel punto i russi sono stati totalmente disorientati dagli eventi. Ancora oggi non è chiaro quale sarà l’esito del conflitto. L’esercito russo si è rivelato decisamente al di sotto delle aspettative. È probabile che il mondo militare non fosse così coeso e ci siano state delle resistenze. Soprattutto nei primi giorni, ci sono state molte epurazioni sia all’interno dell’esercito che dei servizi, questo è trapelato, con conseguenti avvicendamenti al vertice proprio perché non c’era una totale convergenza con gli obiettivi del conflitto. In questi ultimi anni in Russia sono stati fatti interventi pesanti anche nel mondo dell’istruzione, della cultura... Negli ultimi dieci-quindici anni a livello legislativo ci sono stati tutta una serie di interventi di carattere repressivo in vari ambiti, tra cui quello della cultura e del sistema educativo. È in corso un vero e proprio smantellamento del mondo dell’università: ormai tutti i rettori non allineati sono stati sostituiti. Anche negli ultimi giorni sono partiti diversi accademici, universitari, rettori che stanno lasciando la Russia. Non appena varcano la frontiera vengono definiti agenti stranieri. Ma poi stanno modificando i programmi di insegnamento, questo già da diverso tempo. Già due-tre anni fa -allora non avevo prestato sufficiente attenzione- erano stati chiusi tutti i corsi di culturologia, una disciplina tipicamente russa che possiamo far risalire alla scuola di Tartu, di Lotman; un ambito importante segnato da forte spirito indipendente e creativo. Con ancora maggiore radicalità sono intervenuti nel sistema di istruzione primario e secondario, in particolare attraverso la riforma dei programmi di insegnamento. Già una decina di anni fa è stato introdotto un manuale di storia unico; operazione che all’epoca aveva creato molto dibattito. Da notare che anche in Bielorussia è stato ora adottato un manuale di storia unico esattamente identico. Ci sono delle convergenze che andranno indagate per approfondire questa idea di civiltà che dovrebbe riunire i popoli slavi. Si è detto che alla base c’è anche una questione di valori, quelli tradizionali russi in opposizione a un Occidente visto come decadente... In effetti i discorsi sui valori sono sempre espressi in chiave anti-occidentale o comunque con l’obiettivo di difendere e valorizzare la civiltà russa. Il progetto è quello del Russkij Mir, una nozione in uso già da tempo, che in origine era rimasta circoscritta ad ambienti molto marginali, quelli del conservatorismo estremo, dell’estrema destra non semplicemente nazionalistica, ma conservatrice e “civilizzazionista” (il c’è l’idea di una nuova via, di un Sonderweg russo, che si può costruire anche sulla base della guerra garantire “l’unità civile, l’identità della civiltà russa e un unico spazio culturale nel paese”

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