Una città n. 283

stravolgimenti. Voglio dire, alla fine la scuola è un’ottima idea, non c’è bisogno di inventarsi cose troppo diverse… Cercando di articolare una risposta alla provocazione della ragazza, citi Guido Calogero: “Un’educazione condotta in base a certi orientamenti dottrinali presupposti come indiscussi crea uomini moralmente e civicamente meno solidi di un’educazione la quale non presupponga alcun tabù”. Leggendo questo passaggio mi è venuto in mente Popper, che diceva che era necessario essere intolleranti con gli intolleranti - quindi anche con i giovani fascisti. Che ne pensi? È la vecchia questione della democrazia protetta. Che fare contro gli intolleranti? La tolleranza dev’essere estesa anche a loro? Come fa una democrazia a proteggersi contro i suoi nemici interni? È un problema delicato, da affrontare caso per caso. Ma io direi che a scuola quasi tutto dev’essere lecito. Stiamo parlando di adolescenti in formazione che esprimono delle idee, quasi sempre rozze e superficiali; ma per renderle meno rozze e superficiali non c’è altra strada che articolarle in pubblico, cioè davanti alla classe, in una conversazione che -sotto la guida dell’insegnante- sia la più ampia e libera possibile. Non credo affatto, attenzione, che la conversazione, il dibattito debba prendere il posto della lezione. Ma se una studentessa-com’è il caso della aspirante “fascista intelligente”- pone una questione del tutto sensata, per quanto spigolosa, l’insegnante è tenuto a rispondere con pazienza, senza estremizzare i contrasti. Sono ragazzi che hanno tra i sedici e i diciannove anni, che procedono a tentoni, anche provocando, offendendo, per capire quali sono i confini entro i quali possono muoversi. Per questo la libertà, in classe, dev’essere grande, grandissima. E per questo mi è dispiaciuta molto la reazione di quell’insegnante che ha zittito la ragazza: mi pare corrisponda a un certo moralismo, a un certo habitus predicatorio che ho l’impressione si sia rafforzato ed esteso negli ultimi decenni, sia all’interno della scuola sia al di fuori -nei media, nella letteratura, nel cinema. C’è una frase molto acuta di Calogero che riporti nel libro: la scuola pre-fascista è più grave di quella fascista, perché prepara una classe di uomini e donne che non sono in grado di riconoscere il fascismo quando arriva, e perciò lo rende possibile. Una scuola senza tabù, che accoglie al modo liberale qualsiasi posizione, non rischia di formare uomini amorfi, relativisti, troppo deboli? Appunto, non si trasforma in quella scuola pre-fascista di cui parla Calogero? Certo che sì, figurati. Non sono affatto favorevole alla scuola della discussione continua e -nel libro lo dico- non credo di essere del tutto d’accordo con Calogero. Infatti uso Cesare Cases come contraddittore, illustro le sue ragioni e ne riconosco la validità: la scuola non dev’essere una specie di assemblea permanente. Cases -siamo a metà degli anni Cinquanta- ha una visione conservatrice della scuola che in parte condivido. Ci sono, constata, discipline nelle quali la discussione è inutile. Latino, greco, italiano, matematica... Se però (è questo il tema del mio libretto) si crea uno spazio per l’educazione civica -che è una disciplina che ha natura diversa rispetto a quelle che ho appena citato- nasce anche il problema di come riempirlo. E se lo si riempie con delle prediche, o con la miriade di nozioni evocate dalla legge del 2019 (dall’educazione ambientale a quella digitale, dalla Costituzione all’Agenda 2030), non si fa un buon servizio agli studenti. Né lo si fa se si impedisce agli studenti -anche ai più sfacciati- di parlare di argomenti relativi alla vita associata che stanno loro a cuore (come, evidentemente, la questione “Ma se io volessi diventare una fascista intelligente, perché lo Stato e la scuola dovrebbero impedirmelo?”). Bisognerebbe studiare poche cose, invece (per esempio anche solo un’informazione generale sulla storia delle costituzioni, sulla nostra Costituzione e sulla forma del nostro Stato: e basta), e concedere spazio libero alla discussione tra studenti e insegnanti, partendo però da un libro di testo ben scritto, cioè a sua volta problematico e non votato alla sensibilizzazione, alla mobilitazione, al catechismo. Fare una buona scuola è già fare educazione civica? Direi di sì. Mi pare che stiamo cercando di surrogare quello che non riusciamo più a dare -una buona scuola, con buoni libri e buoni insegnanti- con materie nuove (o materie vecchie riattate, diciamo) e sollecitazioni che finiscono per essere dispersive. Una buona scuola sarebbe sufficiente. Il curriculum tradizionale, se fatto bene, è sufficiente. Se si vuole aggiungere una pillola di civismo si può fare, precisando molto bene i confini: un po’ di Costituzione, come ho detto; un po’ di diritto privato, qualche nozione relativa alla macchina dello Stato, e poco altro. Questo almeno è quello che farei io. Il resto del tempo va dedicato alle materie del curriculum: matematica, fisica, storia, geografia. È più che abbastanza. Uno dei punti di riferimento teorici del tuo libro è il pensiero di Guido Calogero, esponente del liberalsocialismo italiano. Cosa si può imparare leggendo il suo libro La scuola sotto inchiesta, oggi un po’ dimenticato? Se tutto va bene, entro l’estate lo ristampiamo per un piccolo editore bresciano. È un libro che merita di essere riletto innanzitutto perché è scritto benissimo -Calogero era un grande scrittore- e argomentato con una serietà e un rigore che oggi è difficile trovare nei libri, figuriamoci sulle pagine dei giornali (molti degli articoli di Calogero uscirono su “Il Mondo”). Poi perché mette a fuoco alcuni problemi che sono rimasti simili nonostante siano passati sessant’anni: il confine tra istruzione e indottrinamento, tra libertà e licenza, il moralismo di troppi professori, il modo aperto, dialogico in cui si deve fare lezione in classe... Ed è interessante vedere come alcune idee sulla scuola nate o cresciute in questo campo liberale (la cooperazione educativa, l’abbandono della lezione frontale) siano poi diventate bandiere del pensiero pedagogico di sinistra dopo il Sessantotto. La scuola descritta da Calogero è la scuola di oggi? No, assolutamente. Scrivendo, lui pensava al liceo classico, anzi, a un liceo classico del centro di Roma: su che cosa fosse realmente la scuola italiana aveva, credo, idee piuttosto vaghe. Però anche sentir parlare di un mondo che non esiste più, o non è mai esistito, può essere utile per chi si occupa di educazione. Trovo puerile questa idea secondo cui solo chi insegna alle professionali può parlare delle professionali, e del liceo classico solo chi sta al liceo classico; l’istruzione è fatta di poche cose essenziali, che cambiano a seconda dei tempi e dei contesti, ma non troppo: e da esperienze diverse, anche molto lontane dalla nostra (e lo è certamente il liceo Tasso di Roma nei tardi anni Venti, quando Calogero ci insegnò), c’è sempre da imparare, purché chi le descrive dica delle cose intelligenti. E Calogero dice cose molto intelligenti, e -per tornare alla questione della lingua- in un italiano meraviglioso. (a cura di Iacopo Gardelli) una città 29 problemi di scuola alcune idee sulla scuola nate nel campo liberale sono poi diventate bandiere del pensiero pedagogico di sinistra

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