Una città n. 283

una città 38 lettere, rubriche, interventi sta. Permette di sperare il metodo partecipativo, finalmente orientato a sondare le esigenze dal basso invertendo quel pessimo sistema di imposizione dall’alto tanto caro alle politiche di un paese che, è bene ricordarlo, è essenzialmente governato in maniera autoritaria. Aiutare i giovani a formarsi e ad acquisire una coscienza critica non potrà che far bene a una nazione che, come amava ripetere Fatima Mernissi, la fiduciosa sociologa, offre una gioventù capace e abile, pronta a sfruttare le opportunità di conoscenza offerte da internet. Sappiamo e ho vissuto personalmente anche io in questi trentatré anni come nella storia recente internet abbia veicolato più irrigidimento delle menti che apertura. L’islamizzazione tradizionalista e a volte fanatica che forti flussi di denaro hanno saputo indurre su tutta la popolazione musulmana mondiale si è percepita con forza anche nel filo-occidentale Marocco. Pare davvero una sfida enorme che sia proprio la ricca borghesia laica e occidentalizzata, la stessa che detiene il grosso del potere e delle risorse, a difendere il paese dalle involuzioni ideologiche e a portarlo finalmente a un livello di alfabetizzazione adeguato. Bisogna crederci comunque, alternative al momento non ne vedo. Ai quattro punti cardinali che incrociano Casarsa della Delizia si legge sulla segnaletica stradale “Casarsa città di Pasolini”. Un cartello che fa riflettere sulle mutevoli opinioni che la società civile e politica riesce a mettere in campo nei decenni. Fuggiasco dalla cittadina nella quale, durante la guerra, aveva trovato ospitalità nella casa dei genitori a Versutta, tra calunnie diffuse, in una notte di tensioni per le denunce ricevute dai carabinieri per atti osceni, con altri giovani, nei campi della zona, Pasolini andò a vivere verso l’ignoto e nella miseria della città di Roma. Fuga che gli fece cancellare nelle poesie della raccolta La meglio gioventù la dedica a Casarsa (1941) “fontana di rustic amour” in quella più sprezzante “fontana di amour par nissùn” (amore per nessuno). Ma oggi la forza della storia, nella sua attualità, rende onori alti all’inquieto e solido ingegno di una persona di tempra straordinaria. Si legge con interesse l’articolo di Mauro Barberis pubblicato dal numero 1/2022 di “Mondo Operaio” intitolato “Sulla monumentalizzazione di Pier Paolo Pasolini”. L’articolo è datato, da quel che si sa, 1991, rifiutato da molte testate e ora riedito sul mensile socialista. Sulla sua vita, sulle scelte, sulle tensioni etiche, sui successi, sulla morte di questo protagonista della storia culturale italiana, tra il tragico dopoguerra e il boom economico, che avrebbe dato nuovo volto alla ricerca del progresso e del benessere, si staglia l’ego autorevole di Pasolini e l’ostinazione di solitario oppositore del sistema capitalistico, di cui era insieme vittima e protagonista principe. Barberis si cimenta in un percorso polemico, nel quale si evidenziano contraddizioni di non lieve spessore. Pasolini interpretato come il demoniaco erede di una religiosità abbandonata in favore “dei sostituti religiosi che sono le ideologie, basti riferirsi al marxismo”. Con analisi storicamente non corretta Barberis incalza: “Si ergono sugli altari i demoni di ieri e così accade [nel 1991, NdR] per Pasolini”; perché questa esclusiva domiciliazione infernale per il poeta friulano quando si potrebbero citare nella storia del nostro paese Dante, Galileo, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Antonio Gramsci, Matteotti, don Sturzo, Carlo Rosselli? Il fatto che nei secoli l’umanità si sia convinta alla teorie eliocentriste rende forse più debole e criticabile l’impegno solitario di Galileo? Bene sostenere che Pasolini sia stato un autore contro, uno degli alfieri della non omologazione, che denunciava le tendenze degenerative della società e della democrazia italiana, l’appiattimento culturale e il conformismo consumistico, l’ipocrisia del Palazzo e la vocazione totalitaria del Potere e la mutazione antropologica della subcultura giovanile radicata nelle periferie delle città, significativamente di Roma. Ma si lamenta Barberis che Pasolini diventi eroe di una sinistra orfana dei propri padri e che in occasione del sedicesimo anniversario della morte un consigliere comunale romano chieda di dedicargli un parco pubblico e un monumento. Barberis irride il fatto che gli si possa dedicare un monumento possibilmente non equestre. Pasolini nella sua complessa e sicura analisi, spesso anche contraddittoria, sarebbe capace di aggregare la piattaforma delle opinioni di tutta la società politica. Barberis pretende che questa grandezza di analisi sociale invece di esaltare l’unicità pasoliniana, come attestato in tutto il mondo, sia figura da ridimensionare. La colpa di Pasolini, secondo Barberis? Di seguire le tematiche e le analisi di un sociologo, tanti decenni fa di moda, Francesco Alberoni, abile nel parlare di tutto ciò di cui tutti parlavano. Recentemente a Genova si è svolto un convegno nel quale il sociologo Paolo Giovannini, docente di chiara fama a Firenze, ha stigmatizzato con precisa documentazione che Pasolini non inseguiva metodologia scientifica, ma, appunto, riferiva criticamente ciò che il suo pensiero e la sua esistenza gli facevano verificare nelle angustie del quotidiano. Perché accusare Pasolini di utilizzare il marxismo in modo settario e anomalo? Pasolini fin dagli anni post bellici quando era segretario del Pci a Casarsa della Delizia dove è sepolto, con comportamenti e polemiche e manifesti cercava di portare il partito su una strada di libertà e di confronto democratico. Senza riuscirci. Anzi proprio il Pci approfittò dello scandalo nel quale, in un piccolo paese arretrato, il professore era incorso, per alimentare la sua cacciata dal partito e la sua conseguente fuga notturna a Roma. Pasolini comunque era rimasto nel partito del quale erano militanti gli assassini dell’amato fratello Guido. È quasi banale sostenere che lo spirito solitario di Pasolini travalica l’armamentario marxista per esaltare la sua indipendenza e la sua solitudine esistenziale. Perché vuole negare Barberis non tanto lo spirito profetico spesso attribuito a Pasolini, ma la lucidità con la quale analizzava una società travolta e impoverita dai fatti che, pervicacemente, sconvolgono le relazioni umane con le leggi del consumismo e massificano le ambiguità sociali? A Barberis si deve obiettare: se tutti oggi ci troviamo ad affrontare i temi fondanti della polemica civile di Pasolini, perché negare la sua originaria diversità? Perché irridere lo straordinario uomo di cultura che vive la propria esistenza come degradazione nel consumismo e come cataclisma antropologico soprattutto presso le nuove generazioni? Sconcertante che nel saggio di Barberis si legga: “Pasolini parlava del genocidio delle culture non sulla base del Manifesto di Marx come faPasolini pedagogo di Matteo Lo Presti

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==