Una città n. 283

cordiamo cos’ha scritto Pushkin sul Caucaso: ha glorificato lo sterminio dei suoi popoli. E sugli slavi? Ha detto che devono tutti “confluire nel mare russo”. In una poesia, Tyutchev prometteva alla Polonia di “custodire con cura” le sue ceneri servite all’integrità della Russia. Nella poesia Geografia russa affermava che il profeta Daniele aveva predetto che la Russia si sarebbe espansa “dal Nilo al Neva, dall’Elba alla Cina, / dal Volga all’Eufrate, dal Gange al Danubio…”. Simili dichiarazioni le ritroviamo negli scritti di Putin e Medvedev sull’Ucraina, o di Surkov, fino a poco tempo fa uno degli ideologi di Putin (adesso corre voce che sia stato arrestato). Oggi si dice che l’Ucraina è “un unico popolo con la Russia” e il giorno dopo che è una “anti-Russia”. Surkov, poi, chiamando Putin novello “Augusto”, afferma che per la Russia l’allargamento è una questione “fisica”, naturale. Anche lo scrittore Prilepin (molto tradotto in Italia) non si discosta molto da queste dichiarazioni: è convinto di essere un erede di Pushkin e Tolstoj in quanto capo di uno “speznaz della letteratura” destinato a conquistare Kyiv. La ragione di tutto ciò? Ma perché i russi sarebbero i “salvatori del mondo”. Norman Davies definiva questo fenomeno “bulimia politica”: ingoiare senza sosta sconfinati spazi di nazioni, religioni, culture diverse. Dopodiché cosa fai di tutto questo? Lo reprimi e lo rendi un insieme omologato. Così si espandono solo povertà, ignoranza, odio. Detto questo, è chiaro che l’origine della guerra va ricercata non solo nella figura sinistra di Putin. La Russia oggi è un Putin collettivo. Più dell’80% dei russi è per la guerra. Ed è questo ciò che più spaventa. Nelle loro razzie i soldati russi rubano tutto, water compresi, evidentemente una cosa esotica per un paese dove 35 milioni di persone sono privi di servizi igienici. Caricano sui carri armati, non i compagni feriti, ma water, vestiti, addirittura cucce per cani. A Bucha una cara amica, dottoressa che ha lavorato prima per anni a Donec’k, ha trovato nei pressi della sua casa semidistrutta la scritta: “Chi vi ha permesso di vivere così bene?”. Si tratta quindi anche di una rivalsa sociale. Ma c’è di peggio. Siccome i soldati rubano i telefoni ucraini, i servizi segreti registrano le loro conversazioni con i familiari come prove dei crimini di guerra. E qui emergono delle cose davvero atroci. La moglie che incita il marito a violentare le donne ucraine. Un ragazzo ventenne che racconta alla madre le torture inflitte agli ucraini, e la madre che si rammarica solo di non poter divertirsi con il figliolo. Un’altra madre, medico, dice al figlio che vedrebbe con gioia morire lentamente i bambini ucraini, con dita e genitali mozzati, con la stella intagliata sulla schiena, visto che festeggiano la Giornata della vittoria l’8 maggio, come in Europa, e non il 9 maggio come in Russia. Vien da chiedersi cosa succederà a questo punto ai bambini deportati. Ormai sono stati deportati in Russia quasi un milione e quattrocentomila ucraini compresi oltre duemila bambini. Dov’è finita la “grande letteratura russa”, con il suo culto della “lacrimuccia di un bambino” di Dostoevskij?! Cosa sta succedendo nel Donbass? Come sta reagendo la popolazione? Devo fare un passo indietro perché è una storia complessa. Come si sa, storicamente il Paese si divide in Ucraina della Riva destra e Ucraina della Riva sinistra; per lunghi periodi una è stata sotto la Polonia, e in seguito sotto l’Austria, e l’altra sotto la Russia. La divisione si è riflessa anche a livello linguistico, per cui la parte occidentale è ucrainofona, la parte centrale è mista e la parte orientale prevalentemente russofona. Ora, la russofonia in un paese pluriculturale non rappresenta alcun problema nel contesto di una democrazia. Ricordiamo inoltre che alcuni dissidenti ucraini, grandi figure come Ivan Dzjuba, storico di letteratura, o il poeta Vasyl’ Stus, provengono proprio dalla zona del Donbass. Tra l’altro, Dzjuba, di cui ora in Italia è uscito un libro sulla russificazione dell’Ucraina, è morto simbolicamente proprio nella notte dell’invasione. Era nato nei pressi di Volnovacha, città che i russi hanno raso al suolo. La zona del Donbass, pur essendo una regione industriale, ultimamente aveva subito un processo di modernizzazione, in parte anche in occasione del Campionato europeo di calcio del 2012. Non era più una repressa regione mineraria, come nei tempi dell’Urss, ma una realtà abbastanza ricca e movimentata. I propagandisti di Putin hanno invece fomentato il conflitto linguistico trasformandolo in un criterio di scelta tra due sistemi, europeo e russo. Un personaggio attivo di questa campagna propagandistica (non a caso!) è stato Paul Manafort, lobbista e capo del pool elettorale di Trump, che aveva lavorato in Ucraina con Yanukovych, per dire anche la portata internazionale di questa storia. Insomma, i propagandisti russi hanno cercato di convincere la popolazione di questa regione che era meglio separarsi dall’Ucraina perché a Kyiv sono tutti “nazionalisti” che avrebbero portato le truppe Nato nel Donbass. La gente si è messa a invocare: “Putin, vieni!” E Putin, puntuale, è arrivato. Morale: l’occupazione russa nel Donbass e altrove ha causato la morte atroce di migliaia di persone e ha devastato questa zona anche economicamente. Ormai è un luogo di traffici illegali di ogni genere, dove vige un totale intorpidimento della popolazione che ora, tra l’altro, viene arruolata per fare la guerra a fianco dei russi contro l’Ucraina. Ma mentre i dirigenti di queste sedicenti “repubbliche” hanno decine di milioni di dollari nelle banche russe, a Donec’k ormai da mesi non c’è nemmeno l’acqua. E pensare che a maggio del 2014, durante la Giornata dell’Europa, all’aeroporto di Donec’k, che porta il nome del compositore russo sovietico Prokof’ev, l’orchestra locale suonava l’Inno alla gioia di Beethoven. Ricordo la sensazione di speranza: “Che bello, anche qui si respira un senso di libertà e di Europa”. Ora, al posto dell’aeroporto ci sono solo rovine. Insomma, ormai è una zona devastata che chissà quando risorgerà. Non dimentichiamo che la Russia sta adesso sterminando innanzitutto la popolazione russofona dell’Ucraina. Le sue chiese, i suoi simboli, le sue istituzioni, la sua economia. È uno dei tanti aspetti assurdi di questa guerra. Anche l’Ucraina orientale ha tradizioni culturali variegate. Da Charkiv sono usciti diversi studiosi importanti, culturalmente è un’area mista. Ed è una città con la massima concentrazione di università, una trentina. L’università centrale porta il nome dello scienziato Vasyl’ Karazin di origini serbe. È stata bombardata, bruciata, devastata. Risultato? Adesso il sindaco russofono di Charkiv, Ihor Terechov, promette di cancellare ogni riferimento toponimico o altro alla Russia. Di Odessa, non ne parliamo: è ucraina, russa, ebraica, italiana, greca. Costruita dai francesi. Oppure Mykolaïv: è l’antica Olbia Pontica, una delle colonie greche sul litorale del Porto Eusino, Mar Nero. Molti elementi della democrazia delle póleis greche sono nati e diffusi in queste terre già in tempi antichissimi, da una complessa simbiosi ellenico-scitica. Gli invasori ora hanno saputo solo trafugare l’oro degli sciti dal museo di Melitopol’. Senza dimenticare la Crimea, che storicamente è in primis tatara, ma anche italiana e greca. La Crimea, poi, era una perla, un classico luogo di villeggiatura; adesso è uno spazio militarizzato dove gli ospedali sono destiuna città 4 caricano sui carri armati non i compagni feriti, ma water, vestiti, e addirittura cucce dei cani la Russia ora sta sterminando innanzitutto la popolazione russofona dell’Ucraina cosa sta succedendo

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