Una città n. 283

una città 46 Nell’inverno del 1952, ho discusso con Normal Mailer al College di Mt. Holyoke; la mia posizione è stata riassunta con la frase “scelgo l’Occidente”, la sua invece con “non posso scegliere”. Di seguito, il succo di ciò che ho detto in quell’occasione. Scelgo l’Occidente -gli Stati Uniti e i suoi alleati- e rifiuto l’Est -l’Unione Sovietica e il suo alleato, la Cina, e le sue province coloniali, le nazioni dell’Est Europa. Per “scelgo” intendo che sostengo la lotta politica, economica e militare dell’Occidente contro l’Est. Lo sostengo criticamente -sono critico della legge Smith e della legge McCarren, mi oppongo alla politica francese in Indocina, eccetera- ma in generale sì, io scelgo e sostengo le politiche occidentali. Nel corso dell’ultima guerra non ho scelto, dapprima perché ero un socialista rivoluzionario trotzkista, in seguito perché mi stavo trasformando, in particolar modo dopo la bomba atomica, in un pacifista. Ma ora nessuna di quelle due posizioni mi appare valida. La posizione del rivoluzionario socialista dà per scontato che esista una possibilità concreta perché un qualche tipo di rivoluzione popolare, un terzo campo, indipendente dalle parti in conflitto e ostile a entrambe, possa emergere durante o dopo la guerra, come avvenuto in Russia nel marzo 1917. Eppure, nell’ultima guerra non è successo nulla del genere, nonostante la distruzione e il caos generati fossero maggiori di quelli scaturiti dal conflitto del 1917-18, perché ogni vuoto di potere è stato immediatamente riempito dall’imperialismo sovietico o statunitense. Il terzo campo delle masse, semplicemente, non esiste più, e così lo “sconfittismo rivoluzionario” di Lenin è divenuto semplicemente sconfittismo: aiuta il nemico a vincere, e questo è quanto. Per quanto riguarda il pacifismo, questo tende a presupporre un certo grado di similitudine etica col nemico, qualcosa che sta nelle sue ragioni e cui ci si possa appellare -o perlomeno, qualcosa che appartiene alle sue tradizioni. Gandhi trovò questo nei britannici, e così il suo movimento di resistenza passiva potè avere successo, dal momento che c’erano alcune misure repressive, come il giustiziare lui e i suoi collaboratori di spicco, cui i britannici non potevano ricorrere per via del loro codice morale tradizionale, che è quello comune alla civiltà occidentale. Ma i comunisti sovietici non hanno una tale inibizione, come non l’avevano i nazisti. Pertanto, concludo che il pacifismo non ha alcuna possibilità ragionevole di risultare efficace contro un nemico totalitario. Il pacifismo come questione relativa alla coscienza individuale, come questione morale, più che politica, è un’altra questione, e come tale lo rispetto. Scelgo l’Occidente perché vedo che il conflitto attualmente in corso non è l’ennesima lotta tra imperialismi fondamentalmente simili, come lo era stata la Prima guerra mondiale, ma è una guerra all’ultimo sangue tra culture radicalmente differenti. In Occidente, sin dal Rinascimento e dalla Riforma, abbiamo creato una civiltà che ripone grande valore nell’individuo, che ha in una certa misura sostituito l’autorità dogmatica alla conoscenza scientifica, che dal Diciottesimo secolo in poi è progredito abbandonando la schiavitù e la servitù della gleba in favore di un certo grado di libertà politica, e che ha prodotto una cultura che, per quanto non avanzata come quella dei greci, conserva ancora caratteristiche accattivanti. Credo invece che il comunismo sovietico rompa nettamente con quest’evoluzione, e che sia un ritorno non già al relativamente umano Medioevo, quanto alle grandi società schiavistiche dell’Egitto e dell’Oriente. Nè i comunisti sono soddisfatti, ma nemmeno in grado, di confinare questa schiavitù del Ventesimo secolo alla Russia, e neppure alle vaste province dell’Asia e dell’Europa dell’Est che si sono andate ad aggiungere al suo impero sin dal 1945. Come il nazismo, il comunismo sovietico è un imperialismo giovane, aggressivo, espansivo (al contrario, per esempio, dell’anziano imperialismo britannico, che sin dal 1945 ha concesso all’India, all’Egitto e all’Iran di evadere dalla sua morsa). Ancora, come il nazismo, reprime la sua stessa popolazione con tanta brutalità che si trova in costante condizione di “difendersi” da presunti nemici stranieri -altrimenti i suoi sudditi potrebbero domandarsi perché siano necessari sacrifici tanto grandi. I governanti della Russia sovietica si considereranno circondati da minacciosi invasori fino a quando al mondo ci sarà anche un solo paese indipendente dal loro controllo. Recentemente, un lettore ha domandato alla Pravda di Mosca: “Ora che controlliamo un terzo del mondo, si può ancora parlare di accerchiamento capitalista?”. I redattori gli hanno risposto così: “Accerchiamento capitalista è in termine politico. Il compagno Stalin ha dichiarato che esso non può essere inteso come nozione geografica” (pertanto, l’esistenza di truppe Onu nella penisola coreana costituisce un accerchiamento politico della Cina comunista). Inoltre, proprio perché l’Occidente borghese è così evidentemente superiore all’Est comunista in molte delle questioni di natura spirituale e materiale in cui le persone tanto valore ripongono, la mera esistenza di un paese non-comunista rappresenta un pericolo per il comunismo. Questo si è visto nel 1945-46, quando le truppe dell’Armata rossa tornarono dal loro contatto con l’Europa “infettate dall’ideologia borghese” -e, cioè, quando hanno visto coi loro occhi quanto fossero più libere le masse al di fuori della Russia, e quanto maggiori fossero i loro standard di vita- e dovettero essere messe in quarantena in distretti remoti per un po’ di tempo. Pur scegliendo l’Occidente, devo comunque ammettere che gli effetti della lotta anti-comunista sulla nostra società sono nefasti: il Senatore McCarthy e i suoi emuli ricorrono alla menzogna per diffondere un isterismo collettivo e una confusione morale, secondo il miglior copione di stampo nazi-comunista; costruire una grande macchina militare non può far altro che incrementare il potere dello Stato, pregiudicando così la libertà. In breve, stiamo diventando, in qualche misura, come il nemico totalitario che ci troviamo a combattere. Ma, uno, aver intrapreso la strada è cosa ben diversa dall’essere già arrivati (anche se, a giudicare da certe dichiarazioni dei marxisti e dei pacifisti, si potrebbe pensare che sia la stessa cosa), e, due, si può in qualche misura opporre resistenza a questo nefasto andazzo. Dopotutto, qui e in Europa occidentale esistono ancora partiti politici differenti, sindacati liberi, e altri raggruppamenti sociali indipendenti dallo Stato; varie e contrapposte tendenze intellettuali e artistiche, e la protezione, garantita sia dalla legge, sia dalla tradizione, di quei diritti civili individuali da cui tutto il resto dipende. La nostra è una società ancora in vita, ancora in pieno sviluppo, ed è aperta al cambiamento e alla crescita, perlomeno se la compariamo alla sua controparte al di là del fiume Elbe [fiume tedesco dove nel 1945 si incontrarono le forze sovietiche e americane, NdT]. Quando Ulisse compì il suo viaggio fino ai campi Elisi, scorse tra le ombre un suo vecchio commilitone, Achille, e gli domandò: il reprint SCELGO L’OCCIDENTE di Dwight Macdonald

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