Una città n. 283

una città 45 quegli assassinii lasciarono nel post-fascismo tra le fila dell’antifascismo non comunista influì sulle sorti della democrazia nella Repubblica. Negli anni Venti, Mussolini era già consapevole che i nemici più pericolosi per il nuovo regime erano coloro che si richiamavano alla democrazia liberale e sociale dell’Italia pre-fascista. I socialisti massimalisti e i comunisti erano avversari relativamente facili da combattere perché ben identificabili come nemici che non potevano rappresentare un’alternativa di governo. Forse, proprio per questo, il duce volle colpire subito coloro che con le loro idee e proposte potevano far pensare a un diverso sviluppo politico nel Regno, possibile fino al delitto Matteotti. Leader politici come Giovanni Amendola erano stati importanti esponenti governativi e tali potevano ancora esserlo in futuro. Era perciò opportuno che quegli antifascisti democratici che non erano riparati all’estero e non erano stati reclusi nelle carceri speciali fossero tolti violentemente dalla circolazione. Con la fine della dittatura, con l’avvento della democrazia, naturalmente, i metodi della politica cambiarono radicalmente. La polemica in funzione del consenso elettorale sostituì la violenza fisica a cui aveva fatto ricorso la tirannia. Ma proprio come avevano fatto paura a Mussolini, gli esponenti del liberalismo e del socialismo democratico vennero giudicati un pericolo dai leader dei grandi partiti di sinistra della neonata Repubblica. È l’unica spiegazione possibile del comportamento di Palmiro Togliatti. Egli, infatti, con lo pseudonimo Roderigo di Castiglia, eresse a principali bersagli della polemica dalle colonne di “Rinascita” non già i conservatori e gli ambienti dell’estrema destra, ma particolarmente i liberaldemocratici del “Mondo” e i socialisti riformisti di Giuseppe Saragat. Sulle pagine della sua “Rinascita” bombardò di violenti critiche, fino ad arrivare ai più volgari insulti, non solo il filosofo Benedetto Croce, che allora era il riferimento dell’Italia liberale, ma anche gran parte degli intellettuali e politici azionisti e democratico-socialisti, da Gaetano Salvemini a Ignazio Silone, che avevano combattuto il fascismo da posizioni antitotalitarie. Il filo rosso del libro è rappresentato da una interpretazione che vede come uno dei nodi centrali della storia della Repubblica la contrapposizione tra la sinistra comunista e i liberaldemocratici. Prologo de La parabola della Repubblica-ascesa e declino dell’Italia liberale, di Angelo Panebianco e Massimo Teodori, Solferino, 2022 l’altra tradizione sostieni con il tuo 5 per mille la Fondazione Alfred Lewin codice fiscale 92052850408

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