Una città n. 283

una città 44 l’altra tradizione PERCHE’ GLI ASSASSINII DI GOBETTI, AMENDOLA, ROSSELLI E MATTEOTTI? Perché furono assassinati su mandato di Mussolini quattro leader del liberalismo, sia di tendenza democratico-liberale sia social-riformista, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Carlo Rosselli e Giacomo Matteotti? È un interrogativo che non si può eludere in una riflessione sulla parabola liberale nella Repubblica. L’eretico liberale Piero Gobetti pubblicò giovanissimo il saggio sulla lotta politica in Italia mentre trionfava la dittatura mussoliniana: con il termine “liberale” nel suo La rivoluzione liberale intendeva la continua liberazione dagli schemi e dalle idee dedotte. Fondatore di riviste e di una casa editrice, amico di Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini, animò un circolo di intellettuali che presto passarono all’antifascismo. Fu vittima di ripetuti pestaggi squadristi che aggravarono le sue precarie condizioni di salute e lo portarono alla morte, nel 1926, a Parigi all’età di venticinque anni. Il filosofo Giovanni Amendola, deputato e ministro liberaldemocratico, fu bastonato dalle squadracce nere per cui nel 1926 morì anch’egli in esilio in Francia a poco più di quarant’anni. Il parlamentare campano, che guidò l’antifascismo liberale, democratico e socialista sull’Aventino in assenza dei comunisti, e aveva pubblicato sul quotidiano “Il Mondo” il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” di Benedetto Croce, alla Liberazione avrebbe avuto poco più di sessant’anni. La sua cultura, nutrita dall’esperienza politica, lo avrebbe probabilmente candidato nel secondo dopoguerra a leader del liberalismo nella Repubblica. Anche il leader dei socialisti riformisti, Giacomo Matteotti, fu assassinato dai fascisti nella stessa stagione di Gobetti e Amendola; se avesse vissuto la fine del fascismo, sarebbe probabilmente divenuto l’autorevole riferimento per i socialisti democratici e avrebbe potuto contrastare nel 1948 il corso filocomunista del Psi come aveva fatto negli anni Venti, insieme al sindacalista Bruno Buozzi e a Claudio Treves, quale esponente del Partito socialista unitario di Filippo Turati. Il quarto assassinio che colpì nel 1937 Carlo Rosselli insieme al fratello, lo storico Nello, fu il culmine di un meditato progetto di criminalità politica contro i più importanti esponenti della democrazia liberale del tempo. Mussolini riteneva pericoloso il giovane leader, che non aveva soltanto elaborato con Socialismo liberale una teoria contrapposta al massimalismo, ma aveva dimostrato di essere un agitatore politico di rara efficacia con il movimento Giustizia e Libertà, da cui sarebbe nato il Partito d’Azione che si dissolse per diversi motivi, tra cui l’assenza di un leader riconosciuto. Nulla prova che se i quattro leader antifascisti non comunisti assassinati dai mussoliniani fossero sopravvissuti al Ventennio, la democrazia liberale e socialista avrebbe avuto maggiore fortuna di quanto in effetti ha avuto nel dopoguerra a fronte dei democristiani e dei comunisti. È forse temerario sostenere la tesi che la tragica persecuzione dei leader liberaldemocratici e socialisti riformisti sia stata programmaticamente più accanita di quella contro Antonio Gramsci e gli altri dirigenti comunisti sulla base di un lucido progetto fascista. Certo è, però, che il vuoto politico che di Massimo Teodori

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==