Una città n. 283

una città 8 scomparire. Il mondo si è rovesciato: ti chiamano “neonazista” quelli che usano come simbolo la lettera Z, una mezza svastica. Quella mezza svastica che certi comunisti italiani provano pure a usare come simbolo. Direi che in fondo è appropriato data la storica corrispondenza tra il nazismo e il comunismo. Se penso alla storia della mia famiglia... In effetti, ogni tappa della vita della nostra famiglia è stata segnata da irruzioni violente dei due sistemi. La mia nonna polacca è morta ad Auschwitz, con il figlio, fratello di mio padre. L’infanzia di mia madre è trascorsa sotto le bombe naziste. Mio nonno ucraino è stato arrestato più volte, ha passato tanti anni nel Gulag staliniano ed è uscito quando io ero già nata… Quello era anche l’anno dell’insurrezione di Budapest. Mia madre per decenni non ha potuto pubblicare libri, era proibito pronunciare anche il suo nome. Mentre era incinta di mio fratello, ha protestato contro l’invasione di Praga rischiando l’arresto. Io ho finito il mio dottorato durante Chernobyl. Mia figlia è nata mentre c’era il golpe a Mosca. All’epoca crollava definitivamente l’Unione Sovietica e la mia speranza era che perlomeno lei potesse vivere libera dai due totalitarismi... Oggi sono qui a Kyiv con mia madre, che ha scritto la sua prima poesia in trincea, e non è una metafora. Era una bambina quando, con un ramo secco, scriveva una poesia sul muro della trincea durante l’occupazione nazista. Oggi, a più di novant’anni, scrive i suoi libri al computer. Ma di nuovo sotto le bombe. Oggi non c’è nessuna trincea e nessun rifugio. Per principio. È una questione di libertà: è la scelta della dignità di fronte a forze più grandi di noi. In fondo, che armi abbiamo? Nessuna, però la dignità è qualcosa che nessuno ci può togliere. E questo è un fatto personale, individuale, ma anche culturale, qualcosa che questa nostra Ucraina ha costruito pezzo per pezzo, secolo per secolo, nella continua resistenza, nella continua voglia di esserci. Timothy Snyder ha definito questi luoghi “terre di sangue”, le più insanguinate del pianeta nel periodo interbellico. Sempre Snyder in un recente articolo sul “New York Times”, (“We should say it. Russia is fascist” 19/05/2022), ha affermato che solo la vittoria dell’Ucraina potrà salvare il mondo democratico da una lunga stagione di nuovo fascismo. La nostra è la forza dei deboli, diceva Václav Havel, quella con cui resisteremo fino all’ultimo, per difendere noi, ma anche quell’Europa che amiamo. Uno spazio in pericolo, che mai come oggi va difeso. Cohn-Bendit e altri hanno firmato un appello sollecitando la costruzione di un’unione politica preliminare a una futura piena adesione dell’Ucraina all’Unione europea, così da non ripetere l’errore commesso con la Bosnia. Le procedure per l’entrata nell’Unione sono lunghe e difficili. L’Ucraina è in parte pronta all’integrazione, ma nel contempo deve correggere diverse storture, a cominciare dal problema della corruzione, tipico fenomeno postsovietico, anche se, diciamoci la verità, chi ne è esente? Detto questo, l’Ucraina sarà capace di rispondere in maniera forte e coerente a questi impulsi e saprà adeguarsi alle regole di costruzione democratica. Perché l’Ucraina è una società aperta, istruita, dialogante e fortemente motivata, capace di collaborare su larga scala per superare le discrasie tra l’Europa occidentale e quella orientale. L’Europa occidentale spesso sembra aver dimenticato il processo plurisecolare di costruzione dell’Europa unita. Un processo che è costato vite, guerre, rivoluzioni, tantissimi sacrifici. L’Ucraina ha sempre partecipato a questi processi, in diversa misura, spesso all’insaputa dell’Europa stessa. Oggi in Italia si dice perfino che l’Ucraina sarebbe stata trascinata nella guerra addirittura dagli Stati Uniti, e quindi questa non sarebbe una “nostra” guerra, italiana, europea. Invece no, questa è una guerra europea! Ricordiamo la data del 12 maggio. Diversi politici russi hanno dichiarato che la posizione della Russia circa l’entrata dell’Ucraina nell’Ue è cambiata e ora corrisponde a quella relativa alla Nato, cioè negativa. È questa verità che toglie argomenti a chi cerca di giustificare l’aggressione militare di Putin con l’allargamento della Nato. Sarebbe difficile definire l’Ue un “blocco aggressivo”. Eppure è proprio l’integrazione dell’Ucraina nell’Ue che rappresenta un vero incubo per la Russia. Perché significherebbe la costruzione di un ultimo e definitivo confine tra la Russia e l’Europa, un’irrimediabile deriva della Russia verso lo spazio euroasiatico, quindi una competizione con l’Occidente persa in partenza. E non solo perché il Pil degli Usa è dieci volte più alto di quello della Russia, ma perché nessun paese dell’Est europeo ha mai voluto rimanere con la Russia, tranne la Bielorussia, la cui nascente società civile è stata brutalmente soffocata da Lukashenko. Per questo io resto dell’idea che una vittoria ucraina sarebbe una vittoria per l’Europa tutta. Non solo, avere l’Ucraina al proprio interno significherebbe per l’Europa avere un muro protettivo sicurissimo del mondo democratico. Quindi non una vittoria facile della democrazia come avrebbe voluto Fukuyama. Questo sogno della democrazia che si diffonde trionfante per il mondo è stato smentito dai fatti. La guerra della Russia contro l’Ucraina lascia la percezione dolorosa della democrazia come un mondo molto più vulnerabile e fragile del previsto. Un mondo però capace di riflettere, reagire, modernizzarsi. Il bagaglio storico e culturale, le risorse umane ed economiche dell’Ucraina integrata in Europa sarebbero un valido supporto a questa sua capacità di trovare sempre varie fonti per la rigenerazione e la nuova vitalità. (a cura di Bettina Foa e Barbara Bertoncin) cosa sta succedendo l’Europa occidentale sembra aver dimenticato il processo che ha portato alla costruzione dell’Europa unita UNA CITTA’ Redazione: Barbara Bertoncin, Giorgio Calderoni, Stefano Ignone, Silvana Massetti, Giovanni Pasini, Paola Sabbatani, Gianni Saporetti (direttore), Giuseppe Ramina (direttore responsabile). Collaboratori: Isabella Albanese, Katia Alesiano, Rosanna Ambrogetti, Oscar Bandini, Luca Baranelli, Michele Battini, Amalia Brandi Campagna, Dario Becci, Antonio Becchi, Alfonso Berardinelli, Sergio Bevilacqua, Guia Biscàro, Stephen Eric Bronner, Thomas Casadei, Flavio Casetti, Alessandro Cavalli, Giada Ceri, Luciana Ceri, Francesco Ciafaloni, Michele Colafato, Luciano Coluccia, Francesca De Carolis, Carlo De Maria, Ildico Dornbach, Bruno Ducci, Fausto Fabbri, Roberto Fasoli, Adriana Ferracin, Enzo Ferrara, Bettina Foa, Vicky Franzinetti, Andrea Furlanetto, Iacopo Gardelli, Wlodek Goldkorn, Belona Greenwood, Joan Haim, Massimo Livi Bacci, Giovanni Maragno, Emanuele Maspoli, Lisa Massetti, Franco Melandri, Annibale Osti, Cristina Palozzi, Cesare Panizza, Irfanka Pasagic, Andrea Pase, Lorenzo Paveggio, Edi Rabini, Alberto Saibene, Ilaria Maria Sala, Massimo Saviotti, Sulamit Schneider, Massimo Tirelli, Fabrizio Tonello, Alessandra Zendron. In copertina: foto di Oles Navrotsky. A pp. 7, 11 e 15, foto di Dimitri Kozatsky, giovane soldato e fotografo di Azov, che ha diffuso le sue foto chiedendo che venissero fatte girare. Hanno collaborato: Pietro Adamo, Taras Bilous, Bartolo Guariglio, Matteo Lo Presti, Luigi Marinelli, Cesare Pianciola, Massimo Teodori. Proprietà ed editore: Una Città società cooperativa. Cda: Rosanna Ambrogetti, Barbara Bertoncin, Giorgio Calderoni, Enrica Casanova, Francesco Ciafaloni, Stefano Ignone, Silvana Massetti, Giovanni Pasini, Paola Sabbatani, Gianni Saporetti, Massimo Tirelli. Questo numero è stato chiuso il 24 maggio 2022.

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