Una città n. 285

una città 9 mentazioni sentite in aula avrebbero risonanza presso un vasto pubblico o presso una giuria di coetanei di Trump; un verdetto di colpevolezza, se dovesse arrivare, verrebbe appellato e c’è comunque un’alta probabilità che il verdetto venga ribaltato da giudici conservatori a qualche livello del sistema federale. Il Paese ha tratto beneficio dalle sentenze di novembre e dicembre 2020 sulle frodi elettorali. La cospirazione e l’istigazione sono questioni molto più complesse. Ora il processo sarebbe rischioso: si pensi alla possibilità che Trump venga assolto e trionfi. Ma c’è un altro motivo di scetticismo rispetto al portare Trump in tribunale. Ricordiamo le elezioni del 2016 e l’appello, incoraggiato da Trump, “Rinchiudetela!”. Il motivo immediato per mandare in galera Hillary Clinton era la faccenda delle sue email. Non l’ho mai capita bene; di certo non si trattava di qualcosa di così grave come la cospirazione e l’istigazione. Ma quelle grida segnalavano una specifica ambizione: vincere le elezioni e mandare in prigione l’avversario. Nella lunga storia delle successioni e delle transizioni politiche, la prigione e la morte erano il destino comune di re e regine rovesciati, pretendenti al trono sconfitti, oligarchi e cortigiani che perdevano nella lotta per il potere. La politica era un’attività ad alto rischio. Il liberalismo e la democrazia sono stati concepiti per ridurre i rischi: se si perdono le elezioni si va a casa. Mi piace l’idea di una politica a basso rischio e quindi diffido di appelli tipo “Rinchiudetelo!”. Mandare Trump in prigione potrebbe essere un trionfo della giustizia, ma potrebbe anche essere un pessimo precedente politico. D’altra parte, i crimini di Trump non hanno precedenti nella storia americana e forse neanche nella storia delle democrazie occidentali, quindi forse questo è il momento di tracciare un confine. Non manderemo in galera i presidenti sconfitti per nessuno dei comuni peccati politici; comprendiamo la forza dell’affermazione dell’Hoederer di Sartre in Mani sporche, secondo cui nessuno può governare in modo innocente, e promettiamo di non perseguire i normali “cali di innocenza”, per così dire. Si potrebbe dire che Trump, tuttavia, è un’eccezione; non possiamo lasciarlo libero. Potrebbe essere giusto. Tuttavia, temo che non sarà facile tracciare una linea di demarcazione abbastanza chiara da convincere gli americani che l’incriminazione di Trump è un’eccezione necessaria alla normale politica democratica e non un esempio di rozza partigianeria. Un Trump disonorato e sconfitto sarebbe probabilmente meglio di un Trump incriminato. Ma tale disgrazia e sconfitta sono davvero all’orizzonte? È difficile giudicare l’effetto delle audizioni del Comitato speciale. Alcuni sondaggi mostrano solo un leggero spostamento del sentimento contro Trump; alcuni studi basati su focus group suggeriscono uno spostamento molto più ampio. Trovo difficile credere che molti elettori indipendenti e repubblicani inquieti, tra coloro che hanno guardato la tv, non siano rimasti inorriditi o almeno turbati dalla testimonianza di tanti trumpisti disillusi. Si potrebbe dire che il primo obiettivo politico del Comitato sia stato quello di dare a uomini e donne che hanno votato per Trump una via d’uscita; possono unirsi ai funzionari e ai dipendenti che alla fine (in ritardo, direi) hanno detto no. È la cosa più onorevole da fare e anche, in questa fase, relativamente facile. Le persone che si sono rifiutate di assistere alle udienze sono una causa persa, ma è sufficiente una piccola rivolta contro Trump per salvarci dalla catastrofe di un secondo mandato (nell’ipotesi di elezioni libere e regolari nel 2024). Più di così mi sembra che non possiamo aspettarci. A questo punto di una triste analisi politica, è consueto invocare la frase di Max Weber: la politica è “il lento e tenace superamento di dure difficoltà”. Gli americani come me hanno davanti a sé una lunga battaglia contro una pericolosa politica di estrema destra. Errata corrige. Il pezzo di Micahel Walzer apparso sullo scorso numero con il titolo “La guerra giusta” è stato pubblicato per gentile concessione del “Wall Street Journal”. Rob Olivera Una guardia di sicurezza schiacciata dai manifestanti che fanno irruzione a Capitol Hill, 6 gennaio 2021 (fotogramma della diretta tv)

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