una città - n. 295 - settembre 2023

Dai referti risulta che diversi furono colpiti alle gambe e poi da un colpo alla nuca. Quindi, perché colpiti alle gambe? Perché chi ha sparato non voleva essere lui a uccidere? Però c’è anche un referto che, a proposito di una donna ebrea, parla di “strangolamento con benda”, per cui, viene anche il dubbio orribile che ci sia stato del sadismo. Ma questo è secondario, alla fine. E il perché della fucilazione? Rosanna. Non si sa bene. Dopo un mese il fronte si muove, quindi una delle ipotesi è che si siano voluti liberare in fretta di tutti quelli che erano in carcere, ebrei e non ebrei. Infatti fucilarono anche parenti di partigiani, il colonnello Edoardo Cecere, la marchesa Pellegrina Paulucci de Calboli, le Vergari, la madre con due figlie… Voi avete detto che la scritta del cippo di via Seganti è sbagliata. Perché? Gianni. È un argomento un po’ delicato questo. Nel cippo c’è questa scritta che comprende tutti i nomi degli ebrei e degli altri: “Caduti per la libertà”. Mi hanno chiamato ad accompagnare i ragazzi nel giro dei luoghi dell’eccidio e davanti al cippo ho cercato di spiegarlo, ma si fa fatica francamente, perché lì c’erano i nomi di Sara Jalka Richter con la figlia Selma, ebree, fucilate insieme alle italiane Vergari, madre e due figlie. Allora è difficile, e non giusto, fare delle differenze, anzi, se prendiamo il punto di vista della vittima le atrocità e le sofferenze che hanno dovuto subire, non c’è molta differenza. Ma è importante capire anche il punto di vista dei carnefici, e la scritta “caduti per la libertà” che certamente richiama il fatto che i carnefici evidentemente conculcavano la libertà, non dice tutto riguardo agli ebrei che furono uccisi innanzitutto in quanto ebrei. Voi avete raccolto anche un archivio dell’eccidio? Rosanna. Sì, anche perché una delle fondatrici della rivista, Patrizia Betti, facendo una ricerca per la sua tesi, ha raccolto tantissimi documenti dell’Archivio di Stato, materiale che poi ci ha lasciato. È impressionante la quantità di lavoro burocratico che comportarono le leggi razziali, anche nei riguardi degli ebrei stranieri che risiedevano in Italia. Ora, a parte chi ne ha approfittato, come il professore universitario che eredita la cattedra di un ebreo o chi frequentava le aste a cui andavano i beni degli ebrei, furono tantissimi i funzionari che vedevano cosa stava succedendo. Cosa hanno pensato? Avevano dei margini per fare qualcosa? Gianni. Ci sono aspetti che lasciano interdetti. Quando ormai il funzionario non rischia più nulla, cioè dopo la liberazione, perché un prefetto ordina ai secondini di non andare a riconoscere i resti dei fucilati? E perché neanche un secondino che disattese quell’ordine? Noncuranza, che però il vecchio Attilio pagherà con un di più di sofferenza per il resto della vita perché non saprà mai neanche dov’era sepolto il figlio. Abbiamo la risposta del questore di Forlì a una lettera del Comitato emigrazione Palestina, a cui s’è rivolto Attilio, a dir poco gelida: “Gaddo Morpurgo è stato prelevato da militi della guardia repubblicana per destinazione sconosciuta”. Possibile che il questore non sapesse delle fucilazioni? Se ne lavò le mani, di fronte a un vecchio padre disperato e sofferente di salute. Se proiettiamo indietro atteggiamenti simili, quando ad aiutare qualcuno si poteva rischiare qualcosa, possiamo immaginare cosa può essere successo. Cionondimeno in tanti hanno aiutato. Nel vostro cortile ho visto quelle sette lapidi... Gianni. Sì, le abbiamo noi. Beh, questa è episodio da non enfatizzare, anche se forse dice qualcosa sulla noncuranza dei funzionari per tutto ciò che esula dal loro mansionario. Pochi giorni dopo la nuova sepoltura, eravamo lì in redazione e uno di noi ha detto: “Che fine avranno fatto le lapidi dei sette loculi?” (quelle coi nomi). “Ma giusto! Telefoniamo subito”. Chiamiamo il direttore del cimitero che gentilmente ci dice che non sa niente, ma che si informerà e ci richiamerà. Infatti lo fa poco dopo: “Ah, sono già dal marmorino per levigarle e riciclarle”. Ci siamo precipitati e abbiamo fatto in tempo a riscattarle. (a cura di Tonino Gardini) una città 24 Karen Pacht, con la sorella Marianne e il fratello Jeremy alla Fondazione Lewin. Con loro Lidia Maggioli che con Antonio Mazzoni, entrambi riminesi, tanto hanno fatto per documentare la storia degli ebrei trucidati a Forlì e per rintracciarne i parenti. www.diciottostorie.it sito dedicato alle storie delle ebree e degli ebrei vittime delle stragi compiute dai nazifascisti all'aeroporto di Forlì nel settembre ’44. il tragitto della memoria diciotto storie l’eccidio dell’aeroporto di Forlì, settembre 1944

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