una città - n. 295 - settembre 2023

domi che avrei dovuto cavarmela da sola per ritornare a casa e che sarei stata costretta a parlare. Fu così che riuscii a superare il mio blocco. A Milano trovai un lavoro come addetta alla corrispondenza in lingua italianatedesca. Per alcuni mesi andò tutto bene. E qui devo tributare una lode ai lavoratori italiani che sapevano perché lavoravo lì, senza essere registrata, e mostrarono molta comprensione aiutandomi come potevano. Fare la pendolare fra Milano e Cremona era abbastanza faticoso. Tornavo molto tardi dal lavoro. La famiglia considerò che sarebbe stato meglio se avessi iniziato come commessa nel panificio, ma anche questo non era così semplice, perché, non so come sia adesso, ma all’epoca a Cremona c’erano soprattutto poveri contadini e questi parlavano in dialetto cremonese. Questo dialetto non era tanto semplice, ma comunque lo imparai e, anzi, dopo poco tempo ero in grado di capire e di farmi capire senza problemi. Le cose sembravano andar bene: io mi divertivo in bottega, imparavo tante cose... come i nomi di 32 tipi di pasta! Non so come sia adesso, ma all’epoca lo zucchero era merce di monopolio e noi dovevamo incartarlo in grossa carta di color grigio-blu e quando un contadino veniva per comprare 100 g di zucchero -erano poveri- l’involucro pesava più del contenuto, davvero. Avevamo iniziato a conoscere dei giovani, fra cui la figlia di un’inglese che aveva sposato un italiano durante la Prima guerra mondiale. Poi mia cugina, di nove anni più giovane di me e che all’epoca era una scolaretta, portò in casa molti bambini del vicinato. Dopo qualche minuto erano già lì a giocare con la palla o altro. Come detto, la vita continuava normalmente, fino a quando a Hitler non venne l’idea di andare a trovare Mussolini nel 1938 e ci misero agli arresti domiciliari, perché questi ebrei a Cremona potevano costituire un pericolo per Hitler che era a Roma! Subito dopo furono applicate in Italia le cosiddette leggi di Norimberga e la situazione si aggravò in particolare, per uno dei due zii. Nel frattempo, purtroppo, la famiglia si stava sfasciando. La mia famiglia non era certo rigidamente osservante, ma gli zii erano tedeschi convinti di fede ebraica e quindi rispettavano le festività, frequentavano la sinagoga e seguivano le usanze e i costumi ebraici. Per questo era stato particolarmente difficile per mio zio -quello che aveva finanziato tutto e che all’epoca era vicino alla cinquantina- spiegare a sua madre che da più di vent’anni intratteneva una relazione con una cristiana. Non ne aveva avuto il coraggio. Oggigiorno pare impossibile che un uomo della sua età... ma la nonna era quella che dettava legge in famiglia e lui credeva che non avrebbe mai acconsentito a quella relazione. Mio zio però fece sorgere in questa donna un sentimento di rabbia nei confronti della famiglia, perché le disse che l’avrebbe sposata volentieri, ma che sua madre e sua sorella non l’avrebbero mai permesso. Fu un errore che in seguito avremmo pagato a caro prezzo. Lo zio la chiamò comunque in Italia con il desiderio di sposarla nonostante tutto, ma a quel punto erano le leggi di Norimberga che non permettevano un matrimonio misto fra un ebreo e una cristiana. I due volarono infine a Londra, dove si sposarono. Al loro ritorno, la moglie vide lo scopo principale della sua vita nel vendicarsi per i 20 anni persi, furono tramati innumerevoli intrighi che portarono allo sfascio della famiglia. Mio zio era comprensibilmente dalla parte di sua moglie e così mia madre, Alfred e io, benché assolutamente privi di mezzi, ci trasferimmo in un piccolo e assai povero alloggio a Cremona. Alfred continuava a lavorare e anch’io cercavo di guadagnare qualcosa facendo la babysitter. una città 42 le storie

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