Una città n. 283

una città 17 cosa sta succedendo disi (forse ero il più giovane della compagnia) e mi ricordo che dissi che mi vergognavo di non poterlo fare in ucraino (anche se tutti capivano perfettamente il polacco, ovviamente), e dissi che in quei giorni a Kyiv avevo definitivamente capito cosa intendesse Milosz col titolo del suo libro Rodzinna Europa. Anche quella stupenda città e tutta l’Ucraina sono la nostra “Europa familiare”. Forse “un’altra Europa”, come è stato tradotto il titolo del libro di Milosz in alcune lingue, ma sempre nostra comune, e familiare. A Kyiv (come in tutta l’Ucraina) convivono e s’incrociano pezzi di storia, di cultura e di arte da più direzioni, con influssi e indirizzi vari, assai ben visibili ad esempio nell’architettura: penso alla cattedrale di S. Sofia, dell’XI secolo (all’epoca Mosca era solo una cittadina oscura di una piccola provincia con una tribù finnica, i Merja), coi suoi mosaici bizantini e le sue iscrizioni greche, ma avvolta all’esterno da aggiunte nello stile del barocco occidentale; penso anche agli architetti che fra il 1730 e 1740 rifecero il volto di alcuni monumenti simbolo della capitale ucraina, come il Gran Campanile, o la chiesa di S. Andrea, e cioè l’italiano Bartolomeo Francesco Rastrelli e il tedesco Johann Gottfried Schedel che però -nota bene- non giunsero a Kyiv dalle loro rispettive patrie, bensì da San Pietroburgo, la nuova capitale russa e “finestra sull’Europa” (secondo la nota definizione di Francesco Algarotti), cui lo zar Pietro -proseguendo in tutto e anzi rafforzando la tradizione del cesaropapismo bizantino-russo- aveva voluto dare il nome del primo papa e vicario di Cristo in terra (che poi era anche il suo nome). Oggi Putin ha chiuso (definitivamente?) quella finestra della Russia sull’Europa, e tanto più -come ha scritto lucidamente il giovane e bravo storico italiano Simone Attilio Bellezza in suo libro uscito poche settimane fa (prima del conflitto!)- il destino dell’Ucraina e il futuro dell’Europa sono strettamente collegati. E dunque non “La Russia cambia il mondo”, come ha titolato il suo ultimo, vendutissimo numero la rivista di geopolitica “Limes”, ma “l’Ucraina cambia il mondo”! L’università La Sapienza, la mia università, è l’unica in Italia che abbia un insegnamento completo ufficiale di ucrainistica: lo tiene Oxana Pachlovska, con la quale condivido uno studio dove quando entro, da qualche settimana, mi fanno triste compagnia i tanti libri ucraini accumulati sulla sua scrivania. Lei era partita lo scorso febbraio durante la pausa semestrale per andare a trovare sua madre, Lina Kostenko, fra i massimi scrittori e poeti ucraini viventi (l’editore Castelvecchi di Roma ha ora in ponte una nuova scelta poetica di Kostenko), la quale lo scorso 19 marzo ha compiuto 92 anni. Le due donne sono rimaste bloccate lì dalla guerra, nella loro casa di Kyiv, dovendo Oxana fare la terribile scelta se rimanere con sua madre sotto le bombe o tornare in Italia dalla figlia e dal marito. Con Oxana nel nostro comune studio possiamo parlare indifferentemente italiano, ucraino, russo e polacco: suo padre era lo scrittore cracoviano Jerzy Jan Pachlowski (1930-2012), rimasto orfano di tutta la sua famiglia da ragazzo durante la Seconda guerra mondiale. Lina Kostenko e Jerzy Jan Pachlowski si erano conosciuti e innamorati a Mosca all’Istituto Letterario im. Gorki: una storia tutta slava, ucraino-polacco-russa… ed europea, considerando che la loro figlia Oxana è diventata una delle massime ucrainiste, autrice tra l’altro di Civiltà letteraria ucraina, un libro fondamentale di oltre mille pagine, in cui ha riversato tutta la scienza e competenza e tutto il suo amore per la propria terra di origine. Il libro, pubblicato a Roma nel 1998, Oxana volle dedicarlo a sua figlia, che oggi studia a Londra: “A Jaroslava Francesca, nella quale si incontrano due mondi”. Auguriamoci che ne esca presto una nuova edizione! L’altra collega che insegna lingua ucraina alla Sapienza, tra l’altro autrice del primo grande dizionario ucraino-italiano (pubblicato da Hoepli dopo 70 anni dal precedente!), è Olena Ponomareva, figlia di Oleksandr Ponomariv (1935-2020), luminare della linguistica ucraina, appassionato difensore della sua lingua a fronte degli attacchi anche su questo piano dell’imperialismo culturale russo, anche lui scrittore della generazione dei šestdesjatniki come Lina Kostenko. Tutto questo per dire che, a fronte del bla bla bla di certi improvvisati pseudoesperti che in realtà non sanno niente, e che magari fino a pochi mesi fa tessevano le lodi di Vladimir Putin, la parte migliore della cultura accademica e della slavistica italiana (non certo quella che fino a poche settimana fa si faceva sostenere dai ricchi fondi del programma “Russkij Mir”), tiene fermo il punto della reale competenza e della verità a ogni costo, anche quello dell’isolamento quando certe verità (come l’esistenza stessa di uno Stato, di una nazione, di un popolo, di una cultura e di una lingua chiamati Ucraina) sono sgradite ai più. E anche per questo, dopo anni di decadenza iperspecialistica, il nuovo numero della rivista romana “Ricerche slavistiche”, fondata da Giovanni Maver nel lontano 1952, da questo numero sotto la nuova direzione della mia collega polonista Monika Wozniak, sarà per intero dedicato alla “Belarus’ europea”, un’altra realtà pienamente nostra e “familiare”, di cui in Italia e altrove, si conosce a malapena il nome del suo tiranno, il fedele lacchè di Putin Aljaksandr Lukashenka (ovviamente pronunciato alla russa). In Italia non esiste nessuna cattedra di bielorussistica, ma è importante che proprio Oxana Pachlovska abbia scritto per questo nuovo numero di “Ricerche slavistiche” un lungo articolo introduttivo intitolato “Perché la bielorussistica oggi?”. In questo semestre sto tenendo un corso di letteratura polacca sul Cinquecento, e in particolare su Kochanowski e Sep Szarzynski, due poeti che ho studiato fin da giovane e che amo molto. Sembrerebbero fin troppo distanti dai nostri tempi, ma i poeti e gli artisti, se sono davvero tali, parlano sempre a tutta l’umanità di tutti i tempi. In classe coi miei studenti nei giorni scorsi ho riletto con stupore e angoscia questi versi del Satyr (1564), uno dei testi minori di Jan Kochanowski, massimo artefice del Rinascimento, che ormai pochi leggono anche in Polonia. Parla il Satiro, sulla possibile scelta se stare dalla parte del “despota” di Mosca o della sia pur incerta e litigiosa “democrazia nobiliare” dei Polacchi: Il despota che è della stirpe di quei despoti antichi [i Mongoli di Gengis Khan] per vostra onta perenne ha attraversato due volte le vostre terre; il Moscovita ha preso Polock e adduce lettere secondo cui la Galizia gli apparterrebbe per diritto naturale; ma se si va a vedere il diritto, io preferirei restare con voi, giacché lui ha ben poca dimestichezza con le costituzioni… Ieri, oggi e ancor più domani, l’Ucraina siamo noi. Gloria all’Ucraina e ai suoi eroi! Slava Ukraïni! Herojam slava! il despota che è della stirpe di quei despoti antichi/ per vostra onta perenne ha attraversato due volte le vostre terre la parte migliore della slavistica italiana (non quella che fino a poco fa si faceva sostenere dal “Russkij Mir”)

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