Una città n. 283

una città 42 lettere, rubriche, interventi e urbanisti italiani, a cui si deve la costruzione degli edifici più significativi di San Pietroburgo e dintorni e dello stesso Cremlino a Mosca, nella sua parte storica, cioè antecedente la rivoluzione. È stato osservato che le città capitali nella loro dimensione monumentale contengono la raffigurazione di un sistema di valori. Splengher ha scritto “la capitale fa sapere […] che cosa si deve volere e per cosa si deve (eventualmente) morire”. Non è certo mia intenzione seguire Splengher nel suo linguaggio provocatorio, soprattutto in questo periodo. Certo è che i luoghi simbolo russi sono stati costruiti in larga misura da italiani. Numerosi sono i convegni italo-russi promossi in questi ultimi anni dal Corso di laurea in Cultura italiana di San Pietroburgo. Dal 2012 è stata avviata una collana di volumi dal titolo altamente significativo “Studia culturae. Terra Italia”. All’ultimo convegno hanno partecipato anche studiosi polacchi. Nella fase precedente il Covid ogni anno un nutrito gruppo di studenti del Corso di laurea pietroburghese compiva un viaggio in Italia, guidati dalla responsabile del Corso la prof. Zhanna Nikolaeva, e facevano tappa a Torino. Studenti russi compivano percorsi di studio nel capoluogo piemontese e altrettanto facevano i nostri studenti presso l’ateneo russo. Questo naturalmente valeva per tante altre università italiane ed occidentali. Si è parlato per l’Europa unita dell’importanza costituita dalla nascita e dallo sviluppo della “generazione Erasmus”. Un fenomeno simile, seppure in forma minore, stava avvenendo con la Federazione russa. Chi ha una minima conoscenza dei giovani russi sa come questi fossero affascinati dalla cultura dell’Occidente. Nei loro soggiorni avevano occasione di conoscere il funzionamento concreto, pur con tutti i suoi limiti, di un sistema liberal democratico, in cui stentavano a trovare precedenti nella cultura del loro paese. Purtroppo se Putin in questa ultima fase della sua evoluzione politica intende instaurare una continuità con la tradizione anche prerivoluzionaria e frenare i processi di occidentalizzazione in Russia, bisogna convenire che con la sua “operazione speciale” ha ottenuto risultati significativi. I rapporti culturali si sono quasi completamente interrotti. Finita la guerra non dovremo isolare i giovani e più generale la popolazione russa, che non ha colpa di quanto sta succedendo. Sarebbe la vera vittoria di Putin e del suo entourage, al di là di quello che possa essere l’esito del conflitto, imprevedibile e non più scontato, in un settore molto più importante di quello, pur non trascurabile, dell’economia. Cari amici, a un certo punto dei tardi anni Ottanta ho incontrato un signore anziano che frequentava il mio stesso pub a South London. Avrà avuto circa ottant’anni, e per la maggior parte della vita aveva servito nell’esercito. Non aveva famiglia, a quanto sembrava, e viveva da solo in una casa popolare lì vicino. Lo si trovava al pub già alla mattina, all’apertura, e quella era la sua giornata. Non ricordo perché, ma un giorno mi invitò nel suo appartamento. Le condizioni in cui versava erano scioccanti: non aveva un vero letto, il suo giaciglio consisteva in un cappotto di pelliccia cencioso buttato per terra. Sul pavimento non c’erano tappeti e il mobilio era quasi assente. Era così povero da non avere nemmeno un fornello: usava una stufetta elettrica posata a terra per scaldare delle lattine di fagioli. L’appartamento era lurido, l’ultima volta che il bagno aveva visto un detersivo risaliva sicuramente a un lontano passato. Quest’uomo non possedeva niente, eccezion fatta per una pila di riviste sulla famiglia reale. La regina e il resto della Royal Family rappresentavano tutto per lui. Trovai sconcertante il contrasto tra questa sua devozione a un’icona del privilegio così distante da lui e le sue condizioni di miseria. In sua presenza non era consentito pronunciare una sola parola critica nei confronti dei Reali, né lui riteneva accettabile pensare che i membri di una famiglia reale fossero in fin dei conti persone come noi, che potevano anche andare a lavorare. La sua fede nella loro innata e benevola superiorità era assoluta e credo fosse sintomatica di come la pensino in tanti, a dispetto dei pettegolezzi, dei privilegi, dello scandalo del Principe Andrew e delle ingenti elargizioni dei fondi pubblici di cui beneficiano i reali. Nel 2021 il patrimonio della Regina ammontava a 320 milioni di sterline, con un incremento di 15 milioni dall’anno precedente, come stimato dalla “Lista dei ricchi” del “Sunday Times”. Nel 2017 lo stesso “Sunday Times” aveva anche calcolato il patrimonio complessivo della Famiglia Reale: una cifra strabiliante, 71 miliardi di sterline. La Regina beneficia del Sovereign Grant, una sorta di sussidio pubblico annuale che nel 2021-22 ammontava a 86,3 milioni di sterline. Inoltre, percepisce fondi dalla Privy Purse, la Cassa reale, un valore prodotto dal Ducato di Lancaster (un pacchetto che comprende terreni, proprietà e altri beni ammontanti a circa 18.000 ettari in Inghilterra e nel Galles). Non stiamo parlando proprio di spiccioli. La Regina paga di sua volontà le tasse sui profitti del Ducato, cosa che ovviamente è richiesta a tutti gli altri cittadini, che certo non possono scegliere di non pagare. Il fatto che sia stata una sua scelta, quella di pagare le tasse, più che un qualcosa che fosse lecito aspettarsi facesse in quanto cittadina di questo paese non è certo sorprendente. Siamo immersi negli arcani meccanismi del privilegio. Il paese si sta preparando a celebrare il giubileo di platino della Regina, nell’anno in cui ha compiuto 96 anni [e 70 di regno]. L’occasione sarà sicuramente utile come prossima “grande distrazione”, per il Governo; non è nemmeno una questione che si risolverà in un giorno, come nei precedenti giubilei, visto che ben due giorni festivi sono stati accorpati per permettere a tutti i sudditi di godersi un lungo weekend. C’è dunque tempo per darsi da fare con le decorazioni in rosso, bianco e blu -bandierine da sventolare, e bandiere più sfarzose e grandi da far garrire al vento. Per mesi le comunità, le istituzioni e i media si sono preparati per questo giubileo che si terrà dal 2 al 5 giugno. Viene vissuto come un’opportunità per ricomporre le devastanti, catastrofiche fratture della nostra società e forse, almeno per quattro giorni, dimenticare i problemi di sicurezza globale, la minaccia alla sopravvivenza umana dell’emergenza climatica, alla ricerca del senso perduto di chi siamo noi come nazione. Il giubileo dall’Inghilterra, Belona Greenwood

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