Una città n. 283

una città 9 Antonella Salomoni insegna Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università della Calabria e Storia della Shoah e dei genocidi presso il Dipartimento di Storia, Culture e Civiltà, Università di Bologna. È attualmente impegnata nella ricerca “Political cultures in the transition from Communism to ‘illiberal’ democracies. The cases of Russia, Ukraine and Poland”. Ha pubblicato, tra gli altri, Le ceneri di Babij Jar. L’eccidio degli ebrei di Kiev, Il Mulino, 2019. L’Unione Sovietica e la Shoah. Genocidio, resistenza, rimozione, Bologna, Il Mulino, 2007. Vorremmo ci aiutassi a capire quale è stata l’evoluzione del regime di Putin negli ultimi vent’anni. Premetto che lo scoppio del conflitto mi ha colto di sorpresa: per quanto se ne parlasse da tempo, le modalità e l’intensità sono state causa di grande disorientamento. Anche per questo sto cercando di ritrovare un filo di coerenza con l’oggetto dei miei studi. Attualmente sono coinvolta in un progetto di ricerca sulle cosiddette “democrazie illiberali”, con particolare attenzione ai casi di Russia, Ucraina e Polonia. Negli ultimi due anni, abbiamo concentrato la nostra attenzione sul processo di de-democratizzazione che è in corso in Russia da tempo, senza forse renderci conto della contrapposizione che si andava creando tra un paese, l’Ucraina, che con grande fatica è andato verso la democrazia (uso qui il termine democrazia in chiave storica, molto ampia); una transizione complessa, difficile, con molti ostacoli e passi indietro, però decisa, e dall’altro lato invece un paese come la Russia che ha intrapreso il cammino opposto. Una contrapposizione che si è esacerbata al punto da far scoppiare un conflitto armato. Ora, che questo fosse nell’ordine delle cose non so dirlo. Certo è che nel piccolo gruppo di amici e colleghi che si occupano di questi temi il disorientamento è stato abbastanza comune, così come è comune la sensazione di essere di fronte a qualcosa di nuovo, Il sistema putiniano, per come si è configurato negli ultimi vent’anni, ha assunto forme inedite, per cui bisogna rifuggire da facili analogie. Io ad esempio stento ad accettare l’idea che si tratti di un sistema di carattere neoimperiale, o imperiale. Sono convinta che siamo proprio di fronte a qualcosa di nuovo. Allora qui introdurrei subito la questione della “democrazia sovrana”. Cosa si intende per “democrazia sovrana”? Di democrazia sovrana in Russia si è iniziato a parlare a metà degli anni Duemila, prospettando contestualmente un nuovo sistema politico e un nuovo modello statuale. L’idea era quella di costruire un sistema democratico (per quanto paradossale oggi possa sembrare), richiamandosi quindi a quella forma di governo avendo però in mente una democrazia propria, quindi non di imitazione del modello occidentale, ma fondata sul retaggio, sull’eredità della Russia. Questa insistenza sul passato e sul valore del proprio stato è a mio avviso il principale filo conduttore per capire come si è evoluto questo regime. Qualcuno parla di democrazia autocratica. Io non so come si possa definirla, lo dico con grande franchezza, certo è un modello nuovo che si richiama molto alla storia. Non è un caso che lo stesso presidente Putin più volte insista sulla storia, scriva saggi storici. I suoi discorsi non vanno quindi presi sottogamba. Così come andava presa sul serio a suo tempo la nozione di democrazia sovrana, dove si prefigura un nuovo modello di stato che ha molti aspetti di conservazione, autoritarismo, ma soprattutto pone con grande violenza il problema della sovranità. La difesa della sovranità è diventata il punto centrale di tutta l’azione politica, che si tratti di politica estera o interna. Con un’accentuazione sempre più radicale di quelli che sono gli elementi di carattere autoritario. Forse questo è il termine che più si presta a definire la società e il sistema politico putiniano oggi. La categoria della sovranità deriva probabilmente dal grande senso di umiliazione di fronte alla deflagrazione dell’Unione sovietica. La mortificazione, il risentimento sono diventati elementi cruciali delle relazioni internazionali e delle politiche estere, non soltanto nel caso della Russia. Nel momento in cui Putin arriva al potere, il tema della sovranità, e anche di uno stato forte è una reazione al problema della perdita di centralità, del senso di potenza dello stato. C’è un testo di Putin che io continuo a ritenere un punto di riferimento. Si tratta di un suo intervento del 2005. Apro una parentesi: se dovessi datare il momento in cui c’è un’inversione rispetto al percorso della transizione, lo collocherei dalla metà degli anni Duemila. Lì si apre una strada che provoca una serie di consequenzialità. Bene, in questo famoso discorso, Putin si rifà alla fine dell’Unione sovietica come alla “più grande catastrofe geopolitica del secolo”. Non molti, però, hanno prestato attenzione a quello che Putin dice dopo, in particolare a quello che lui definisce “il dramma dei compatrioti”. Qui il tema della sovranità diventa propedeutico alla tutela dei compatrioti, che significa non solo sostenere, aiutare, ma anche riunire quelle decine di milioni di concittadini che con la fine dell’Unione sovietica si sono trovati al di fuori del territorio russo. Devo ammettere che quando Putin nel 2005 pronuncia queste parole, io non le capisco immediatamente. Oggi, a rileggere quella frase con una buona dose di filologia, si capisce come il dramma fosse proprio quel processo di disintegrazione che aveva posto al di fuori dei confini del cosa sta succedendo la fine dell’Unione sovietica come la “più grande catastrofe geopolitica del secolo” LA DEMOCRAZIA SOVRANA La frustrazione della fine dell’impero sovietico e l’involuzione in una democrazia basata sulla sovranità e sulla “civiltà russa“, con forti accenti reazionari e conseguenti epurazioni nella scuola, nel mondo della cultura e della ricerca; la “tutela dei compatrioti”, cioè di coloro rimasti esclusi nella disintegrazione dell’impero; le nuove regole della cittadinanza; la prima volta nella storia russa di un attacco a Lenin. Intervista ad Antonella Salomoni.

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