Una città n. 282

una città 18 sto…”. Ecco, tra le tante conseguenze di questa guerra ci sarà che per centocinquant’anni un popolo di trenta-quaranta milioni di persone odierà i russi, mentre prima non li odiava. Voglio dire: a differenza dei polacchi, che odiano i russi, gli ucraini non li odiavano affatto, odiavano il comunismo magari, ma non i russi! Avevano capito prima di noi che le due cose non c’entravano niente l’una con l’altra. Questo è un problema anche per i soldati russi, che infatti non hanno voglia di combattere. Tra l’altro pare sia stato scelto il periodo peggiore per fare una guerra, e i militari lo sapevano. Il motivo per cui Hitler nel ’41 invase la Russia in piena estate è perché in primavera c’è il disgelo e i carri armati si impantanano. A quel punto la guerra sul terreno diventa veramente problematica e l’unica cosa che puoi fare è distruggere sparando missili o bombardando con gli aerei. L’altro giorno c’era un’intervista sul “Corriere della Sera” a una cecchina ucraina che diceva che lei dall’alto li vede avanzare: davanti ci sono i soldati russi e dietro di loro ci stanno i ceceni. I ceceni hanno la stessa funzione dei carabinieri in Italia nella Prima guerra mondiale: ammazzare chi si volta e cerca di scappare. Quindi c’è un clima spaventoso che si riflette anche nel fatto che sono morti sette generali. Non è mai successo in una guerra moderna. Perché succede? Un addetto militare abbastanza anziano mi ha spiegato che siccome le truppe non vogliono combattere, i generali sono costretti a stare in prima fila. Parliamo della Russia. Qual è stata la reazione del mondo intellettuale e che ruolo possono avere queste persone? Io sono stato molto colpito dalla reazione degli intellettuali russi. È una cosa che non si era mai vista. Fin dai primi giorni ci sono state centinaia di lettere firmate da studenti e professori universitari che si dichiaravano contro la guerra. Per non parlare di Marina Ovsyannikova, la giornalista russa che ha mostrato il cartello contro la guerra in tv. Sono atti di coraggio la cui portata noi non riusciamo nemmeno a immaginare; queste persone possono essere espulse dall’università se gli va bene, o essere condannate a quindici anni di galera! Eppure, soprattutto nelle grandi città, c’è questa forte opposizione alla guerra. D’altra parte non dimentichiamo che sono morti più di diecimila soldati e diecimila soldati significano diecimila madri. Nella guerra in Afghanistan e anche in Cecenia le madri hanno avuto un peso molto forte. Attenzione perché bastano due madri per ritrovarsi il paese contro. Perché quando ti torna la bara del figlio e inizi a chiedere: “Cosa ci faceva lì mio figlio, cosa difendeva?”. Andava a de-nazificare l’Ucraina? Ma stiamo scherzando? Oggi gli intellettuali stanno facendo l’impossibile. Il problema è che chiudono tutto, non c’è più un giornale indipendente: “Novaya Gazeta” è stata chiusa, Memorial è stato chiuso… La gran parte della popolazione ha un’unica fonte d’informazione. L’altra sera Lilli Gruber riportava i dati di un’agenzia indipendente, tra virgolette, che diceva che il 70% dei russi sono a favore della guerra; Lucio Caracciolo confermava la serietà dell’istituto. Non so, è difficile immaginare cosa significhi per un russo ricevere una telefonata o essere fermato per strada da uno che ti chiede: “Scusi, ma lei cosa pensa di Putin?”. Siamo così ingenui da pensare che qualcuno possa serenamente rispondere dicendo quello che pensa veramente? Ho molti dubbi... Un russo, la prima cosa che pensa di uno che gli telefona o gli fa una domanda per strada è che sia un agente provocatore. Parlare di sondaggi d’opinione in un regime totalitario, come di fatto è la Russia, è ridicolo. Voglio raccontare un aneddoto. Quando dirigevo la Bollati Boringhieri avevamo pubblicato un testo fondamentale per la storiografia, Le categorie della cultura medioevale, scritto dallo storico russo Aron Gurevic; un libro molto importante tradotto in varie lingue. La Bollati Boringhieri ne ha poi pubblicato varie edizioni. Gurevic tra l’altro era amico di Geremek, faceva parte di quel gruppo di persone che a un certo punto all’università avevano capito che se si occupavano di storia contemporanea finivano in galera. Come una volta mi spiegò Geremek, era meglio occuparsi di storia medievale, o comunque di storia il più possibile antica, lontana, in modo da non avere guai con la censura… Non a caso tanti intellettuali come Witold Kula, Karol Modzelewski a altri, avevano scelto quella branca della storia per poter studiare liberamente. Recentemente la Bollati Boringhieri ha chiesto al nipote di Gurevic, morto nel 2006, come fare a fargli avere le royalties, i diritti delle vendite del libro. Quest’uomo non è un dissidente, suo nonno si occupava di Medioevo, non sappiamo nemmeno cosa faccia nella vita. La risposta di questo signore che vive in Russia, una persona comune, è stata: dateli a un’organizzazione per la difesa dell’Ucraina. Nel mio ultimo viaggio a Varsavia ho incontrato una giovane giornalista russa, appartenente sicuramente alla classe dell’élite, quindi una privilegiata; lei viveva a Mosca e fortunatamente è riuscita ad avere il permesso di andare a Varsavia dove ora fa la corrispondente. È una ragazza di 28 anni e mi raccontava: “Voi non potete nemmeno immaginare cosa significa ritrovarsi senza internet, costretti a ripristinare i telefoni fissi perché i cellulari non funzionano più, con i risparmi trasformati in carta straccia, con tutto il mondo che ti guarda male, con il tuo paese che viene tagliato fuori dal consesso globale... per noi giovani è la fine di tutto”. Ecco, è come ritrovarsi prigionieri di un incubo in cui una macchina del tempo ti riporta indietro di ottant’anni. Queste cose peseranno. Stiamo assistendo a un inesorabile allontanamento della Russia dall’Occidente? Pietro il Grande desiderava che la Russia fosse Europa, tanto che arrivò a spostare la capitale da Mosca a San Pietroburgo; un’impresa utopistica che solo all’epoca dell’Illuminismo poteva essere immaginata; lui voleva stare vicino all’Europa. Ecco, oggi stiamo assistendo a un movimento in senso contrario: le città più importanti della Russia sono Novosibirsk, in mezzo alla Siberia, Vladivostok, in fondo alla Transiberiana… Alcuni studiosi russi con cui abbiamo fatto un colloquio in streaming, storici legati anche al dissenso, dicevano che questo è forse il processo più importante, al di là degli esiti della guerra. Cioè che comunque la Russia si sposterà dalla parte della Cina. Proprio uno spostamento geopolitico. Con una battuta è stato detto che la gente andrà a San Pietroburgo come oggi si va a Venezia. Andrai all’Hermitage come a vedere una bella città con i canali, però San Pietroburgo non conterà più niente, sarà solo una bella città da visitare; anche Mosca perderà sempre più la sua importanza; tutti i commerci d’affari, ma anche la cultura, tutto si sposterà… Il rischio è che il grande vincitore di questa partita sia la Cina. Che l’asse si sposti tutto verso Oriente, con la Cina, con l’India, e una Russia europea sempre più marginale, sul confine. Che poi dobbiamo sempre ricordare che la parola Ucraina significa “al confine”. Il loro destino sta già nel nome. Questa è la marca che impatta come una sorta di muraglia cinese verso l’Occidente. La domanda è se questa marca sia essa stessa parte dell’Occidente, come vorrebbero gli ucraini, oppure se costituisca quel margine oltre al quale c’è l’Occidente, ma del quale non farebbe parte... (a cura di Barbara Bertoncin e Bettina Foa) cosa sta succedendo la parola Ucraina significa “al confine”. Il loro destino sta già nel nome

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