Una città n. 282

una città 19 cosa sta succedendo Konstanty Gebert è scrittore e giornalista per il quotidiano polacco “Gazeta Wyborcza”. È stato corrispondente di guerra nei Balcani e advisor del Special Rapporteur sulla situazione dei diritti umani nei territori dell’ex Yugoslavia Tadeusz Mazowiecki. È stato giornalista clandestino di Solidarnosc, partecipa a think tank europei ed è attivo sulle questioni ebraiche. Dopo i tanti problemi e le tensioni che in questi ultimi anni hanno segnato i rapporti tra l’Unione europea e la Polonia, in queste settimane stiamo conoscendo una Polonia nuova, accogliente… Sappiamo che i problemi non mancano, ma volevamo partire da questa nota positiva. Voi come state vivendo questa situazione? Era da quarant’anni che non vedevo una Polonia tanto bella! Veramente è un piacere girare per strada: gli sconosciuti si sorridono. C’è un clima sociale che mi ricorda i primi mesi di Solidarnosc. E bisogna dire che ce l’abbiamo fatta, nel senso che, almeno per quanto ne so, non c’è una sola famiglia ucraina che dorma sotto un ponte e solo trecentomila persone hanno trovato ricovero nei centri istituiti dagli enti locali, tutti gli altri sono stati accolti da cittadini ordinari. Nel mio giro non conosco quasi nessuno che non abbia dei profughi ucraini a casa. E il tutto è avvenuto in modo assolutamente spontaneo, l’organizzazione è arrivata dopo. Erano passati quattro giorni dall’inizio della guerra quando mia figlia e i suoi amici hanno fatto un convoglio e sono partiti alla volta della frontiera, per caricare tutti quelli che riuscivano a entrare nelle macchine e riportarli a Varsavia ospitandoli poi in casa loro o di amici. Se posso dire una cosa personale, che mi fa immensamente piacere: io ho quattro figli che non sempre vanno d’accordo tra di loro, ebbene in questo momento stanno tutti lavorando nell’aiuto ai profughi, si sostengono, si scambiano informazioni... uno di loro mi ha detto: “Papà, ora capisco. Voi ci avete semplicemente preparati alla guerra!”. In un certo senso è stato l’intero paese a reagire così. Detto ciò, a un mese dall’inizio della guerra, si iniziano a vedere i problemi, che sono destinati ad aggravarsi con il passare del tempo. In primo luogo c’è da dire che molte delle persone che si sono impegnate a tempo pieno fin dai primi giorni iniziano a essere affaticate, esaurite, non ce la fanno più, perché hanno dato troppo, e ovviamente non si concedono il diritto di fare una pausa: come si fa a smettere di aiutare? Qui servirebbe un appoggio psicologico, ma soprattutto organizzativo, istituzionale. Invece lo stato non c’è. Se una famiglia per qualche motivo non riesce più a farsi carico dei profughi che ha preso sotto il proprio tetto, non esiste una via d’uscita, a parte quella di mandarli in uno dei centri di accoglienza, dove però c’è solo un letto e un tetto. Allora si cercano amici e conoscenti che non abbiano ancora ospitato una famiglia ucraina, per darsi il cambio, ma questo non è un modo di gestire la più grande crisi migratoria d’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questa assenza dello stato e l’evidente assenza di strategia, preparazione, non ispirano fiducia. Lo stato ha anche fatto alcune cose buone. Intanto ha aperto le frontiere. Qui il contrasto con quello che succede invece alla frontiera bielorussa è eclatante: continuano i respingimenti, si ritrovano i corpi dei profughi morti nelle foreste, ci sono queste azioni clandestine di salvataggio... In uno stato civile questa gente verrebbe riconosciuta come eroica invece oggi viene arrestata con l’accusa di traffico di persone. Ci sono ventimila truppe sulla frontiera bielorussa. Parliamo di una regione sotto regime militare, dove ai media e alle organizzazioni non governative è vietato l’accesso, dove la stessa Costituzione è stata sospesa. Devo dire che l’ultimo sondaggio rivela che il 66% dei polacchi sono dell’idea che tutti i profughi hanno diritto a pari trattamento. Allo stato attuale è stata varata una legge speciale per i profughi che però si applica soltanto ai cittadini ucraini, in base alla quale questi ultimi hanno diritto di soggiorno in Polonia per tre anni; possono accedere all’istruzione, al mercato del lavoro, all’assistenza sanitaria e possono viaggiare gratis sui mezzi pubblici. Se invece sei un profugo dell’Ucraina, ma non sei cittadino ucraino hai diritto di rimanere in Polonia per quindici giorni, punto. Si stima siano mezzo milione i cittadini di altri paesi, provenienti soprattutto da Africa e da Asia; sono persone che lavoravano o studiavano in Ucraina, oppure che avevano trovato rifugio lì nella speranza di arrivare nell’Unione europea. So che marocchini e indiani sono stati molto ben gestiti dalle loro ambasciate in Polonia, quasi tutti hanno già lasciato il territorio nazionale: a loro serviva soltanto il diritto di entrare e rimanere per un paio di giorni. Ma a uno studente originario della Costa D’Avorio, paese che non ha nemmeno un’ambasciata in Polonia, cosa succede? Dove va? Ecco, queste persone rischiano di rimanere senza alcun aiuto. Fortunatamente man mano che la gente si è resa conto, si è mobilitata e devo dire che non ci sono stati problemi a trovare alloggio anche a queste persone. Un altro problema grave sono i rom, che vengono discriminati dallo stato, dai servizi e anche dagli altri profughi. Pesa anche una certa incapacità a capire la portata di quello che sta succedendo. La comunità ebraica ha organizzato tre centri di accoglienza, in alberghi, ostelli, centri estivi, attraverso i quali sono passate varie migliaia di persone. Il nostro rabbino capo è stato intervistato da un giornale haredim, quindi ultraortodosso, e gli ha raccontato di questo impegno, ma quando il giornalista gli ha chiesto: “Quanti di loro erano si sorride di nuovo agli sconosciuti, c’è questa gioia... e però vorrei anche uno stato che funziona UNA POLONIA COSI’ BELLA... Una Polonia accogliente, generosa, dove non c'è ormai famiglia che non ospiti qualche profugo ucraino; un clima che ricorda i primi mesi di Solidarnosc e però anche le prime avvisaglie di una situazione che, in assenza di politiche adeguate e di uno Stato efficiente, con il passare delle settimane rischia di trasformarsi in una bomba a orologeria; la Bosnia dimenticata e il ritorno della plausibilità della guerra in Europa. Intervista aKonstantyGebert.

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