Una città n. 282

che nel 2003 gli altri governi non hanno esercitato abbastanza pressione sugli Stati Uniti per indurla a desistere dal proposito di invadere l’Iraq. Non che ora sia necessario esercitare meno pressioni sulla Russia per quanto riguarda la questione ucraina. Un errore evidente Immaginiamo per un momento che nel 2003, quando gli Stati Uniti si preparavano a invadere l’Iraq, la Russia si fosse comportata come hanno fatto gli Stati Uniti nelle ultime settimane, e cioè minacciando un’escalation militare. E ora immaginate cosa avrebbe potuto fare la sinistra russa, in quella situazione -almeno, secondo il dogma del “nemico numero uno che abbiamo in casa”. Avrebbe criticato il governo russo per la minaccia di “escalation”? Dicendo, forse, che non si “dovrebbero mettere a rischio le contraddizioni inter-imperialiste?”. È ovvio a chiunque che in quel caso un tale comportamento sarebbe stato un errore. E allora perché non è altrettanto ovvio ora, che è in discussione l’aggressione all’Ucraina? In un altro articolo apparso su “Jacobin” a inizio febbraio, Marcetic si è spinto fino ad affermare che Tucker Carlson di Fox News aveva “ragione da vendere” circa la “crisi ucraina”. Anche Tariq Ali, di “New Left Review”, ha citato favorevolmente la considerazione dell’ammiraglio tedesco Kay-Achim Schönbach secondo cui “rispettare” Putin nella sua politica sull’Ucraina avrebbe comportato “pochi costi, quasi nulli”, dato che la Russia è pur sempre utile in chiave anticinese. Ma siamo seri? Se anche gli Stati Uniti e la Russia potessero accordarsi e scatenare una nuova Guerra Fredda contro la Cina e i suoi alleati, siamo sicuri che sarebbe uno scenario auspicabile? Riformare l’Onu Non amo l’internazionalismo liberale. Convengo che i socialisti dovrebbero essere suoi acerrimi critici. Ma questo non significa che dobbiamo sostenere la suddivisione del mondo in “sfere d’interesse” appartenenti a stati imperialisti. Invece di ambire a un nuovo equilibrio tra i due imperialismi, la sinistra dovrebbe lottare per la democratizzazione del sistema della sicurezza internazionale. Abbiamo bisogno di una politica globale e di un sistema globale di sicurezza internazionale. Quest’ultimo ce l’abbiamo già: sono le Nazioni Unite. Sì, hanno molti difetti, e spesso sono oggetto di meritate critiche. Ma si possono esprimere critiche sia per respingere al mittente qualcosa, sia per migliorarlo. Nel caso delle Nazioni Unite abbiamo bisogno di miglioramenti. Quello che ci serve è un’idea di sinistra su come riformare e democratizzare l’Onu. Naturalmente, questo non significa che a sinistra tutti debbano sostenere le decisioni dell’Onu, ma un rafforzamento generale del ruolo delle Nazioni Unite per la risoluzione dei conflitti armati permetterebbe alla sinistra di minimizzare l’importanza delle alleanze militari e politiche e ridurre il numero delle vittime (in un articolo precedente ho scritto di come i peacekeeper dell’Onu avrebbero potuto contribuire alla risoluzione del conflitto del Donbass. Sfortunatamente una possibilità che ora ha perso di rilevanza). Dopotutto, le Nazioni Unite ci servono per risolvere la crisi climatica e altri problemi globali; la riluttanza con cui molti della sinistra internazionale le prendono in considerazione è un terribile errore. Dopo l’invasione delle truppe russe in Ucraina, il caporedattore per l’Europa di “Jacobin”, David Broder, ha scritto che a sinistra “nessuno deve scusarsi per essersi opposto a una reazione militare degli Stati Uniti”, cosa che comunque non era nelle intenzioni di Biden, come ha già detto egli stesso in molteplici occasioni. Ma una gran parte della sinistra occidentale dovrebbe onestamente ammettere di aver commesso un errore gravissimo nel formulare la propria reazione alla “crisi ucraina”. Il mio punto di vista Concluderò scrivendo in breve della mia condizione e del mio punto di vista. Negli ultimi otto anni, la guerra del Donbass è stato l’argomento cardine che ha diviso la sinistra ucraina. Ciascuno di noi si è fatto una propria idea sotto l’influenza di esperienze personali e altri fattori. Pertanto, è probabile che un altro ucraino, sempre di sinistra, avrebbe scritto in maniera diversa questo articolo. Sono nato nel Donbass, ma in una famiglia ucrainofona e nazionalista. Negli anni Novanta mio padre, di fronte alla crisi economica del Paese e all’arricchimento della leadership di un Partito comunista che aveva combattuto sin da metà anni Ottanta, aveva cominciato a militare nell’estrema destra. Ovviamente aveva posizioni veementemente anti-russe, ma anche anti-americane. Ricordo ancora le sue parole, l’11 settembre 2001, mentre guardavamo le Torri gemelle crollare in diretta tv; aveva detto che i responsabili di quell’atto erano “eroi” (ora non lo pensa più, si è convinto che siano stati gli americani a farle crollare apposta). Quando è iniziata la guerra del Donbass, nel 2014, mio padre si era unito a uno dei battaglioni di volontari, mia madre era scappata da Luhansk e i miei nonni erano rimasti nel villaggio che poi sarebbe caduto sotto il controllo della “Repubblica popolare di Luhansk”. Mio nonno ce l’aveva contro la rivolta del Maidan. È ancora un sostenitore di Putin, il quale, a suo dire, “ha riportato l’ordine in Russia”. A dispetto di tutto questo, in famiglia proviamo ancora a parlarci (anche se non di politica) e ad aiutarci. Cerco di essere comprensivo con loro; dopotutto, i miei nonni hanno passato l’intera vita a lavorare in una comune agricola. Mio padre era un muratore. La vita con loro non è stata tenera. Quanto accaduto nel 2014 -una rivoluzione seguita da una guerra- ha sospinto me nella direzione opposta a quella in cui stavano andando in molti in Ucraina. La guerra ha spazzato via ogni spirito nazionalista presente in me e mi ha indirizzato a sinistra. Voglio combattere, sì, ma per un futuro migliore per tutta l’umanità, e non per una nazione. I miei genitori, con i loro traumi post-sovietici, non capiscono le mie posizioni socialiste. Mio padre è sprezzante del mio “pacifismo”, e abbiamo avuto una dura litigata, dopo che ho partecipato a una manifestazione anti-fascista con un cartello che invocava lo scioglimento del reggimento di estrema destra Azov. Quando Volodymyr Zelensky divenne presidente dell’Ucraina, nella primavera del 2019, speravo che questo potesse evitare la catastrofe cui stiamo assistendo ora. Dopotutto, è difficile demonizzare un presidente russofono che ha vinto le elezioni con un programma di pace per il Donbass, e le cui gag erano popolari sia tra gli ucraini sia tra i russi; sfortunatamente, mi sbagliavo. Mentre la vittoria di Zelensky aveva cambiato l’atteggiamento di molti russi nei confronti dell’Ucraina, ciò non è stato sufficiente a evitare la guerra. Negli ultimi anni ho scritto sul processo di pace e sulle vittime civili di entrambi gli schieramenti della guerra del Donbass. Ho provato a promuovere il dialogo. Ma tutto ciò è ora ridotto in cenere. Non ci sarà alcun compromesso. Putin può pianificare quanto vuole, ma anche se la Russia dovesse conquistare Kyiv e insediarvi un governo d’occupazione, noi vi opporremo resistenza. La battaglia durerà finché l’ultimo russo non avrà lasciato l’Ucraina e avrà pagato per tutte le vittime e la distruzione provocata. Pertanto, le mie ultime parole sono rivolte al popolo russo: sbrigatevi a rovesciare il regime di Putin. È nel vostro interesse quanto nel nostro. 26 febbraio 2022 (Traduzione di Stefano Ignone. questo articolo è stato pubblicato su openDemocracy al link: https://www.opendemocracy.net/en/ odr/a-letter-to-the-western-left-from-kyiv) una città 6 cosa sta succedendo anche se la Russia dovesse conquistare Kyiv e insediarvi un governo d’occupazione, noi vi opporremo resistenza

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