Una città n. 285

una città 13 Elisa Guidi fa l’operaia di catena all’Electrolux ed è delegata della Rsu Fiom-Cgil all’interno dello stabilimento forlivese; è inoltre membro del Comitato Aziendale Europeo Electrolux. L’intervista è stata raccolta nell’ambito di un progetto su donne e pandemia svolto in collaborazione con il Centro donna di Forlì. Puoi raccontarci qual è il tuo lavoro e qual è stato il tuo percorso? Sono un’operaia di catena, ho la terza media, niente di più, niente di meno. Sono entrata in Electrolux nel ’99 e dal 2010 sono delegata sindacale. All’epoca sembrava che volessero chiudere uno stabilimento, quello di Porcia, quindi abbiamo lavorato veramente tanto. Fortunatamente siamo riusciti a fare un accordo per mantenere aperti tutti gli stabilimenti; un accordo che ha avuto un prezzo perché c’è stato un aumento dei pezzi nelle catene. Dopodiché è arrivato il Covid... A Forlì c’è la divisione cottura: il forno parte da zero e arriva alla fine della linea che è finito, va al collaudo e poi all’imballo. In questo stabilimento siamo più di mille. Diciamo che il Covid -nessuno se lo aspettava- ha portato a un incremento della produzione. Noi avevamo preventivato un budget di un milione e ottocentomila pezzi, nel 2021 abbiamo chiuso a due milioni di pezzi! Come vi siete spiegati questo aumento di produzione durante la pandemia? Tutti gli stabilimenti del gruppo Electrolux hanno aumentato: lavastoviglie, lavatrici, frigoriferi… Probabilmente, durante il lockdown, le persone si sono ritrovate con delle apparecchiature vecchie e si sono messe in testa di cambiarle. Una forma di compensazione… Sì, d’altra parte abbiamo visto che tra gli alimenti più acquistati c’era il lievito, che infatti era difficile da reperire. Insomma, la gente si è messa a fare il pane e probabilmente si è vista con dei forni non dico dell’anteguerra ma quasi… Tieni conto che noi producevamo 4.500 pezzi di forno al giorno, in questo periodo siamo intorno ai 7.000 pezzi al giorno. Quanto durerà non lo sappiamo, però c’è stato un incremento pazzesco. Infatti abbiamo assunto dei terministi. Qualcuno è passato fisso, perché se no non ce la facevamo. Tanto più che con il Covid molti erano in quarantena, le mamme avevano i bambini in Dad… Nella tua catena, quanti siete? Nelle catene di montaggio abbiamo una media che va dalle 25 alle 35 persone e la maggioranza è femmina. Nei tecnologici invece abbiamo più maschi, anche perché loro fanno le notti, noi in Electrolux non abbiamo mai aperto la notte per le donne, anche se ci sono leggi europee che lo permetterebbero. È un lavoro intenso? Io sono una che chiacchiera molto, quindi trovo sempre da fare pubbliche relazioni, anche perché una volta presa la manualità, il lavoro è quello. È vero, al cambio dell’ora cambiamo postazione, però una volta che lo sai quello è… Che dire? Io dopo mezz’ora, se non chiacchiero mi taglio le vene! Fisicamente è faticoso? Il lavoro della catena è pesante mentalmente, perché è ripetitivo. Dal punto di vista fisico, i nostri punti più critici sono gli arti: le spalle, i polsi; abbiamo molte persone con limitazioni per il carpale, le tendiniti, le epicondiliti. Noi andiamo a una cadenza di 85 pezzi all’ora. Ogni fase ha un ciclo di 42 secondi. In pratica, a me arriva un pezzo, io ci devo mettere il componente sopra, di lato, avvitare, dopodiché schiaccio e mando via; alcune linee, poche, vanno a meno, perché il vapore non può reggere a quei ritmi, quindi è un problema di macchina più che della persona. E se non ce la fai? Non succede niente. Va detto che al giorno d’oggi i rallentamenti nelle catene sono causati più dalla robotica che da limiti umani… Voglio dire: se c’è un buco che non combina, la persona la vite in qualche modo gliela mette, il robot no. Poi ci arriveranno anche loro. Con la fabbrica 4.0, sono aumentate la robotica, l’innovazione, una volta facevi tutto cartaceo, adesso hai i tablet. Rispetto all’ergonomia, ai movimenti, è migliorata la situazione? Io sono entrata nel ’99 e in questi anni abbiamo lavorato tanto sull’ergonomia. Poi è chiaro, i ritmi sono alti e i movimenti ripetitivi sono tanti. Se io monto in un forno quattro viti, 85 per quattro, sono più di trecento viti. Il movimento è sempre quello e alla lunga il corpo ne risente. Poi c’è quella che è più predisposta ad avere problemi alle spalle o ai polsi. Comunque, ripeto, su questo si è lavorato molto, bisogna darne conto. Nelle catene di montaggio sono stati messi gli abbassatori, in modo che non lavori con le spalle alte, anche gli attrezzi sono cambiati molto: una volta tremavano tutti; le rivettatrici sono state tolte, le operazioni con grossi pesi le fanno i robot. Sono aumentate le postazioni sedute... Io sto in piedi perché da seduta sento più male alle spalle e poi non ci metto la stessa forza. Però quella è una scelta mia: quando mi metto seduta mi infiammo la cuffia dei rotatori quindi non lo faccio perché mi dà noia. Dicevi che ogni ora cambiate postazione... Dal 2014, con l’aumento della cadenza nelle catene di montaggio, sono state introdotte le rotazioni delle postazioni; questo fa comodo anche all’azienda perché un operaio che fa più fasi è più gestibile, flessibile. Così, al cambio dell’ora cambiamo postazione. Certo, sono sempre viti, sono sempre attrezzi, però si cambiano i movimenti... Ti dirò che abbiamo avuto anche molte dipendenti che erano contrarie. Adesso ci ringraziano perché comunque anche loro ne hanno tratto beneficio. Ora sto addestrando i nuovi, la maggiostorie di lavoro noi andiamo a una cadenza di 85 pezzi all’ora. Ogni fase ha un ciclo di 42 secondi... LA CATENA DELLE NONNE Dopo un’esperienza in una piccola fabbrica, con il vecchio padrone che ti soffia sulla schiena e pochi diritti, l’arrivo in una multinazionale, dove c’è grande attenzione all’ergonomia, ma i ritmi sono serrati e, con il tempo, alla catena di montaggio ci sono più nonne che mamme; l’esperienza sindacale in Europa, il cruccio per non aver studiato, ma anche la grande soddisfazione per i risultati delle figlie, entrambe laureate. Intervista a Elisa Guidi.

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