Una città n. 285

una città 40 stiche politiche in gruppi quali i “rossobruni” o la Brigata d’Azov, o nell’ideologia della “Russia eterna” (Gori). Necropolitiche Secondo Reza Negarestani, filosofo iraniano, dalla scrittura densa seppur alle volte indecifrabile, c’è una tossicità dei combustibili fossili in quanto “sole terrestre sepolto ed esumato”, “cadavere nero del sole”, che genera devastazione tanto in terra come in aria. “Tutto ciò che ha a che fare con il petrolio è stato fabbricato con la morte e in funzione della morte”: i combustibili fossili (siano essi solidi, liquidi o gassosi) derivano infatti dalla trasformazione di sostanze organiche sepolte nel corso delle ere geologiche. Sono vita morta che diventa energia attraverso la combustione: è l’energia che ha consentito di attivare l’industrializzazione e che alimenta la nostra civiltà digitale. “Idrocarburi succo di cadavere”, “cadaveri organici appiattiti, impilati e resi liquidi in bacini sedimentari (meganecropoli)”, nel linguaggio di Negarestani. Due i fenomeni negativi innescati dal disseppellimento del “cadavere nero del sole”: da un lato vi è l’immissione dei gas serra e quindi il cambiamento climatico; dall’altro, abbiamo “il petrolio [che] avvelena il Capitale con una follia assoluta, una piaga planetaria che sanguina in economie mobilitate dalle singolarità tecnologiche di civiltà avanzate”. All’inizio e al termine degli oleodotti e dei gasdotti vi è guerra, distruzione, devastazione. Per certi versi, questa guerra, come tante altre (Iraq, Libia…), ha a che fare con gli idrocarburi e con la tossicità che essi diffondono nel corpo sociale e politico, anche nelle forme della corruzione oltre che in quelle della violenza (si pensi a Petrolio di Pasolini). La transizione energetica assume quindi il significato di una liberazione dalla tossicità ecologica, ma anche politica, economica e sociale degli idrocarburi. GlObal Un volume curato da un professore della York University, Ilan Kapoor, si intitola “Psychoanalysis and the GlObal”: la O di global è scritta in maiuscolo e in corsivo. Intende simboleggiare un grande vuoto, una voragine buia e inesplorata. Questo vuoto è posto proprio al centro della globalizzazione, che vive nella presunzione di ridurre lo spazio a una superficie assolutamente liscia, perfettamente calcolabile, ma che conserva nel suo profondo contenuti inconsci, nascosti, misconosciuti, anche perché inquietanti e quindi rapidamente rimossi. La dimensione inconscia attraversa, per vie inattese e invisibili, le dinamiche della globalizzazione, le crepa, ne fa emergere aspetti disturbanti, genera processi irrazionali, provoca spaccature, apre lacune, determina eccezioni e contraddizioni. La circolazione inconscia delle paure e delle ansie, dei desideri e dei sogni è un potente attivatore di effetti nel mondo reale, anche perché “le geografie della terra sono inseparabili da quelle della mente” (Lingiardi, 2017). Così si formano stereotipi e pregiudizi, si sedimentano traumi e conflitti emotivi. Per interpretare questa “eruzione dell’inconscio”, che fessura dimensioni simboliche e immaginative, Kapoor fa riferimento, oltre che alla riflessione freudiana, soprattutto al pensiero di Jacques Lacan e di Slavoj Žižek. Appoggiandosi a questi autori, egli afferma che l’inconscio non ha solo una dimensione intrapsichica, ma è anche “transindividuale”, e quindi assume la forma di una pratica culturale, esterna e collettiva oltre che interna e individuale. Nei momenti di crisi, come quello che stiamo attraversando prima con la pandemia e ora con la guerra, emergono appunto queste dinamiche profonde, covate a lungo nei gruppi che elaborano teorie complottiste, mistiche della politica, nuove ideologie della superiorità di una cultura o di un’etnia o di un gruppo sociale sugli altri. Il luogo dove si addensano, dove circolano e dove poter anche monitorare queste pulsioni e derive è oggi la rete: ciò che conta è provare a capire qualcosa del nero dal quale emergono queste manifestazioni. Sete e fame Un’ultima dimensione che vorrei evidenziare ha a che fare con l’acqua, e ancora con il clima. In epoca sovietica due grandi canali sono stati derivati dal fiume Dnipro: il North Crimean Canal (1969) e il Kakhovs’kyi Magistral’nyi Kanal (1990). I canali portavano acqua alla parte centrale e meridionale dell’Oblast (provincia) di Kherson, per irrigare vaste superfici coltivate a foraggio, cereali e piante oleose. Il Ncc era destinato, come dice il nome, in particolare alla Crimea, area semiarida e sempre assetata, sia per fornire acqua per usi civili sia ancora per l’irrigazione. Dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, l’accesso all’acqua è stato impedito come ritorsione da parte dell’Ucraina. Sete (l’acqua che non arrivava in Crimea) e fame (le coltivazioni che non potranno essere irrigate nella nuova stagione se la guerra continua) sono due aspetti di cui tener conto nell’interpretare gli eventi in corso. Nel contesto della crisi climatica globale queste “basi materiali” della vita sono destinate, qui e altrove, ad assumere un ruolo sempre più rilevante. Con un lungo corteo i genovesi, raccolti sotto le bandiere della Cgil e dell’Anpi, hanno voluto ricordare anche quest’anno il giorno nel quale giovani e partigiani, studenti, intellettuali, donne e cittadini evitarono l’oltraggio alla città medaglia d’oro della Resistenza, di vedere nelle proprie strade i camerati del Msi che nelle giornate del giugno 1960 volevano celebrare il loro congresso nel teatro Margherita, a pochi metri dal sacrario ai caduti, che la loro vita avevano offerto per avere libertà, lavoro e pace. Al corteo del 30 giugno erano presenti molto giovani attenti alle parole del sindacalista Igor Magni, segretario regionale Cgil, che ha lamentato le trascuratezze della sinistra politica nei confronti del problema del lavoro per le nuove generazioni; Massimo Bisca, segretario Anpi, ha ricordato come, a pochi anni di distanza dalla fine della guerra, il fascismo tentasse di risalire alla ribalta proprio nella città che, unica in Europa, aveva costretto i nazisti alla resa senza l’aiuto degli alleati. Ma è stato Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica, che con il suo impegno di denuncia quotidiana dei troppi misfatti fascisti e delle loro connivenze che attraversano l’Italia, ha espresso grandi preoccupazioni per l’emersione di provocazioni di cui si occupa da decenni e che gli hanno guadagnato, unico in Europa, la necessità di affidarlo nei suoi spostamenti a una scorta, per le minacce gravi che riceve sui social quotidianamente dagli sciocchi e ignoranti seguaci della ideologia mussoliniana. Da notare la totale assenza di esponenti delle istituzioni genovesi (eccetto due consiglieri, uno regionale e uno comunale del Pd). Berizzi ha scritto libri e da inviato ha raccolto precisi elementi che dovrebbero attenzionare il Governo verso il rispetto della Costituzione antifascista. Per questo appare doveroso ripercorrere i drammatici fatti genovesi che portarono alle dimissioni del governo del democristiano Ferdinando Tambroni al quale i fascisti del Msi avevano dato aiuto lettere, rubriche, interventi 30 giugno1960 di Matteo Lo Presti

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